“Behind Enemy Lines – Dietro le linee nemiche” di John Moore

La struttura narrativa ricalca almeno sei film messi insieme (tra cui “Top gun” e “Bat 21”), ma la configurazione visiva dell’opera è sfuggente, refrattaria ad ogni tipo di etichetta, ad ogni tipo di controllo basato sul già visto o sul già immaginato

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BANDO BORSE DI STUDIO IN CRITICA, SCENEGGIATURA, FILMMAKING

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Non sarà forse per quei palati fini pronti a rifiutare a priori ogni tipo di opera che si rifà in modo anche sfacciato a certo cinema di genere, ma questo “Behind Enemy Lines” non c’è dispiaciuto affatto. Sarà forse per la terribile flagranza della visione di quei combattimenti aerei girati come fosse la prima volta, sarà probabilmente per quell’esigenza tutta fisica, materiale, di Moore di contaminare ogni frammento di messinscena con un pulviscolo impazzito di effetti visivi che trascinano lo sguardo lungo le strettoie pericolose del precipizio, ma ci sentiamo di accogliere con grande godimento un’opera che forse non dice niente di nuovo sul genere che affronta (a questo punto però vorremo invitarvi a pensare oggi ad un possibile/ipotetico/astratto “nuovo”, almeno per ciò che riguarda l’estetica postmoderna nella quale siamo ingabbiati), ma che ha il coraggio, l’arditezza, e perché no, l’umiltà di non voler essere niente di più che un onesto spettacolo da godere senza pensare (almeno stavolta) a ciò che potrebbe nascondersi dietro ogni singola immagine. Infatti l’evidenza piena, totale dell’istante viene continuamente bruciata dal susseguirsi frenetico di un moto incessante (quello dei mezzi di combattimento, quello di corpi che si affannano nel tentativo di non soccombere di fronte al nemico) che non conosce tregua, che non vuole soste e che soprattutto sembra derivare da una sorta di materiale prefigurazione della possibilità d’”essere” sempre comunque puro movimento, pura sintassi materica di quel naturale impulso alla spinta in avanti che ha da sempre caratterizzato il cinema di guerra. Ed è forse questo il dato che, almeno a livello teorico, ci colpisce di più: l’essere moto, movimento, azione, senza fermarsi un attimo a pensare, senza indugi che possano ritardare la comunione automatica di corpi meccanici (in questo senso si allude chiaramente ai numerosi aerei da combattimento che affollano i cieli dell’opera) in procinto di celebrare la tanto temuta osmosi della carne sotto forma di deflagrazione in volo, o magari di schianto evitato all’ultimo momento. Nelle geometrie aeree che Moore filma come stesse girando un videoclip in assetto da combattimento, si respira quell’aria sperimentale che ultimamente abbiamo goduto solamente in poche opere (non ultima lo splendido “Carter” di Kay), capace di scavalcare in corsa ogni possibile contestualizzazione in un punto fisso dello spazio e farsi potente astrazione di uno sguardo che non può che registrare un inquietante scacco della propria autonomia ontologica rispetto alla visione. D’altronde il cinema di Moore è un marchingegno costruito per depistare quelle prime semplici occhiate tendenti ad un banale incasellamento “diagnostico” all’interno delle tristi, mortuarie griglie dei generi. La struttura narrativa ricalca almeno sei film smessi insieme (non ultimi “Top gun” e “Bat 21”), ma la configurazione visiva dell’opera è imprendibile, sfuggente, refrattaria ad ogni tipo di etichetta, ad ogni tipo di controllo bastato sul già visto o sul già immaginato. Se il tessuto narrativo si incentra sul tentativo di recuperare un giovane pilota americano caduto con il suo aereo sul territorio nemico, le triangolazioni aeree della macchina da presa ci raccontano un’altra storia, condannando così la narrazione tradizionale a pura appendice di un senso da cercare altrove.
Titolo originale: Behind Enemy Lines
Regia: John Moore
Sceneggiatura: David Veloz, Zak Penn
Fotografia: Brendan Galvin
Montaggio: Paul Martin Smith
Musica: Don Davis
Scenografia: Nathan Crowley
Costumi: George L. Little
Interpreti: Owen Wilson (ten. Chris Burnett), Gene Hackman (amm. Reigart), Gabriel Macht (Stackhouse), Charles Malik Whitfield (Rodway), Joaquim de Almeida (Piquet), David Keith (cap. O’Malley), Olek Krupa (Lokar), Marko Igonda (Bazda), Vladimir Mashkov
Produzione: John Davis per Davis Entertainment
Distribuzione: Twentieth Century Fox
Durata: 105’
Origine: Usa, 2001

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