Fuori dal coro, di Sergio Misuraca

Fuori dal coro racconta con spontaneità una Sicilia autentica e immediata. E pur evidenziando una certa carenza di compattezza narrativa s’impone per l’originalità della contaminazione di genere

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Opera prima di Sergio Misuraca (regista siciliano che per quattro anni ha vissuto a Hollywood sognando di fare cinema) Fuori dal coro narra le peripezie di un giovane neolaureato e disoccupato, Dario, che accetta da un losco personaggio di recapitare a Roma una misteriosa busta. Al momento della consegna, però, la busta sembra sparita: Dario e lo zio Tony, che nel frattempo si sono rivisti dopo anni di lontananza, sono costretti allora a ritornare in Sicilia con una rocambolesca fuga per recuperare la busta e salvare la pelle.

Ho imparato che nella vita solo di due cose non si può essere mai sicuri: di quando si muore e di quando, pur non volendo, è necessario tornare in Sicilia”, afferma Tony Scrima (Alessandro Schiavo) all’inizio del film, evidenziando un tema molto caro alla letteratura moderna e contemporanea: il tema del ritorno, intervento magico che ha il compito di ristabilire un equilibrio vacillante o distrutto, riportando a un’appartenenza, a una tradizione o a una memoria. La partenza per Roma e poi il ritorno alla terra di origine del protagonista cela in sé la storia personale di Misuraca. Dario, espressione di una generazione priva di prospettive e facile preda di illusioni, è una sorta di alter ego del regista. Vive in un ambiente dove la pratica dell’arrangiarsi è l’unica alternativa al sistema di corruzione, fatto di raccomandazioni e favoritismi nel disprezzo più totale di capacità e merito, gestito con arroganza da malavitosi che fanno della crudeltà e della vendetta l’unica legge possibile. Il giovane Misuraca, invece, trova negli Stati Uniti, dove “il cinema lo respiri nell’aria”, gli stimoli per realizzare il suo sogno tornando nella terra d’origine.

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Fuori dal coro, allora, racconta con spontaneità e freschezza artigianali una Sicilia autentica e immediata. E pur evidenziando una certa carenza di compattezza narrativa s’impone per l’originalità della contaminazione tra generi diversi. Strizzando l’occhio a Quentin Tarantino, Martin Scorsese e Guy Ritchie, in una miscela di commedia, gangster movie, thriller, pulp e noir il film cita più volte anche Scarface di Brian De Palma. Una scelta ambiziosa del giovane regista, sottolineata anche dalla fotografia di Giuseppe Pignone che riesce a trasmettere con efficacia il fascino siciliano di colori e luci.

Sfruttando la commedia degli equivoci, condita di un umorismo nero che non appartiene alla nostra tradizione, Misuraca tenta insomma di riprodurre umori tipicamente hollywoodiani nel cinema italiano indipendente. E nonostante qualche incertezza tipica degli esordi, fanno ben sperare la sua passione e la sua determinazione.

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