"Boris – Il Film", di Giacomo Ciarrapico, Mattia Torre, Luca Vendruscolo
Boris-Il film ruota attorno alla scomparsa di un cinema artigianale ad opera di due caste, su fronti esasperatamente opposti – una fatta di registi «con maglioni infeltriti e occhialetti alla Gramsci», l’altra intenta a studiare il modo di tramutare i propri gas intestinali in milioni al botteghino – ma egualmente incapaci di raccontare il paese. Quello del trio Vendruscolo, Torre e Ciarrapico non è però un apologo qualunquista sui mali della cinematografia nostrana ma un piccolo dissacrante tsunami che travolge e coinvolge, oltre agli inevitabili bersagli esterni, anche gli stessi protagonisti e ideatori del fenomeno Boris
Che dalla televisione non si possa di fatto più venire fuori («è come la mafia: ne esci solo da morto», dice René in una delle battute già cult del film) ce lo spiega, proprio in questi giorni, anche Ivan Reitman, che nel suo No strings attached riconduce l’idealismo adolescenziale di Ashton Kutcher a uno show canterino simil-Glee e il distacco sentimental/erotico della dottoressa Natalie Portman al modello delle protagoniste di Grey’s Anatomy, lavorando sul plot della commedia romantica come un cross over tra serial. E del resto sembra di capire che una carriera alla Reitman sarebbe proprio il sogno di Renato – René – Ferretti da Fiano Romano, costretto invece, vaso di coccio tra vasi di ferro, a oscillare tra i due poli inversi del cinema italiano, l’autorialità alta dei “maestri” e l’annullamento artistico del cinepanettone.
Boris-Il film ruota attorno al "giallo" della scomparsa di un cinema artigianale ad opera di due caste, su fronti esasperatamente opposti – una formata da registi «con la salmonella» e dirigenti dai «maglioni infeltriti e occhialetti alla Gramsci», l’altra intenta a studiare il modo di tramutare i propri gas intestinali in milioni al botteghino – ma entrambe lenti deformanti incapaci di leggere il paese.
Quello del trio Vendruscolo, Torre e Ciarrapico non è però un apologo lagnoso e qualunquista sui mali della cinematografia nostrana ma un piccolo dissacrante tsunami che travolge e coinvolge, oltre agli inevitabili bersagli esterni, anche gli stessi protagonisti e ideatori del fenomeno Boris. E se è vero che la critica al “cinepanettonismo” ha gioco facile, con l’ironia di secondo grado su peti, rutti ed espedienti di una comicità grossolana, la prospettiva si fa interessante se si considera la produzione Wildside, targata Brizzi e Martani, che sui cinepanettoni si sono formati arrivando poi il più vicino possibile a quel cinema libero, tra industria e libertà creativa auspicato da René e di cui un Reitman, appunto, appare ideale rappresentante.
Ma il modello americano resta lontano, e vive tutt'al più per metonimia negli oggetti (l'Oscar vinto a poker) o confinato al fuori campo, seppur chiassosamente, quando invade l'impegnato set de "La Casta" con i rumori dei suoi roboanti marchingegni.
Dopo aver smontato il giocattolo della fiction nelle tre folgoranti stagioni andate in onda su Fox, culminanti in una metalinguistica presa per i fondelli di certi fenomeni assurdamente sopravvalutati come Tutti pazzi per amore («io parlo della locura, René, tradizione con una bella spruzzata di pazzia, il peggior conservatorismo che però si tinge di simpatia, di colore, di paillettes (…) questa è l'Italia del futuro: un paese di musichette, mentre fuori c'è la morte») la mannaia di Boris si abbatte quindi, inclemente e sorniona, sull’acquitrino del cinema italiano, trovando nuovo fecondo materiale: dalla troupe dittatoriale con pedigree alla prima attrice d’élite – una figura quella di Marilita Loy che non chiama in causa solo la Buy ma racchiude tutti i peggiori vezzi delle nostre interpreti d’autore – alla filosofia da “gioco delle tre carte” dell’ambiente produttivo.
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Regia: Giacomo Ciarrapico, Mattia Torre, Luca Vendruscolo
Interpreti: Francesco Pannofino, Ninni Bruschetta, Antonio Catania, Alberto Di Stasio, Caterina Guzzanti, Alessandro Tiberi, Paolo Calabresi, Carolina Crescentini, Pietro Sermonti, Massimiliano Bruno, Andrea Sartoretti, Valerio Aprea
Distribuzione: 01
Durata: 108’
Origine: Italia 2011
a me ha fatto morire dalle risate, meglio della serie tv!