Lupin III – La pietra della saggezza, di Sōji Yoshikawa

Il film capostipite sul ladro gentiluomo lega le iperboli delle serie anime all’erotismo del manga. E trova nel medium-cinema la chiave ideale con cui traghettare il mito di Lupin verso l’immortalità

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La prima incursione cinematografica del ladro gentiluomo è da intendere come una potente dichiarazione d’intenti: sull’universo creato da Monkey Punch, sui linguaggi delle prime due serie anime prodotte dalla TMS e, soprattutto, sulla necessità di equiparare il medium-cinema ad una macchina di sublimazione di quei processi che hanno reso il più celebre fuorilegge dei manga un’icona immortale. Perché questo Lupin III – La pietra della saggezza – diretto nel ’78 da Sōji Yoshikawa ed ora ri-edito nelle sale italiane in versione 4K – è nelle intenzioni dei produttori l’opera della legittimazione assoluta dell’iconico ladro, da far passare sia attraverso il superamento della censura televisiva che aveva (in parte) disinnescato le matrici erotizzanti della traduzione animata, sia mediante una proiezione della storia e dei suoi personaggi verso orizzonti inesplorati: che solo una produzione filmica (con i suoi finanziamenti) poteva al tempo consentire.

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Realizzato durante il gargantuesco processo produttivo della seconda serie anime (quella, per intenderci, della “giacca rossa”) Lupin III – La pietra della saggezza disloca sin da subito il suo intreccio alla stregua di un viaggio memoriale mai fine a sé stesso: teso ad innervare il racconto delle dinamiche tipiche delle narrazioni televisive sul ladro gentiluomo, per poi approssimarne i canoni alle estetiche del manga, senza neanche renderle discontinue rispetto a quelle osservate sul piccolo schermo. E lo notiamo già a partire dalla storia. Qui Lupin, dopo aver assistito in Transilvania al funerale di un suo sosia, parte alla volta dell’Egitto, in modo da rubare la pietra del titolo insieme al fidato pistolero Jigen. Ma l’altra grande icona del sistema di personaggi coniato da Monkey Punch, vale a dire Fujiko, entra in possesso dell’oggetto, adescata dalla promessa di “eterna giovinezza” avanzatale da un enigmatico miliardario di nome Mamo, spingendo così Lupin ad inabissarsi in quella spirale di attraversamenti inter-continentali (tipici della seconda serie) e di macchinazioni diaboliche che lo porteranno a confrontarsi sì con un avversario apparentemente inumano, ma soprattutto con sé stesso: e con la sorgente stessa delle sue fantasie di grandezza.

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Ciò che restituisce senso e profondità al racconto, e che gli consente di trovare nell’orizzonte cinematografico le tracce per compiere un notevole salto di paradigma, lo troviamo nella naturalezza con cui Lupin III – La pietra della saggezza fa transitare la mitopoiesi del protagonista attraverso il confronto con un personaggio “metaforico” come il villain. Non solo Mamo si astrae dalla finitezza umana: ma la sua natura trascendente, unita al soggiogamento a cui sottopone Fujiko per testimoniare le abilità ladresche di Lupin, porta l’antieroe ad individuare nel compimento di un’impresa (im)possibile, la matrice stessa della sua affermazione: come ladro, e nelle vesti di irrecuperabile amante. Fattore che diventa ora ancora più radicale, proprio perché il film incardina queste soluzioni ad una ri-scoperta delle estetiche del manga, da intendere come l’unica chiave per obliterare il depotenziamento a cui è stata posta, in televisione, la carica pulsionale della storia e dei protagonisti.

Qui i character design sono più stilizzati e duri, meno curvilinei e armonici rispetto a quelli osservati nelle iconiche serie che lo hanno preceduto. E la distanza dalle forme rotondeggianti e sinuose a cui li avevano destinati Ōsumi e il duo Takahata/Miyazaki (e che ritorneranno nel memorabile Il Castello di Cagliostro) è il catalizzatore di tutti i linguaggi su cui si basa Lupin III – La pietra della saggezza. Fondato su una storia che non ha la necessità di revisionare la genesi mitologica del ladro, come avrebbe poi fatto Lupin Zero. Ma di estendere, semplicemente, il suo mito in una dimensione ancora più sacrale e culturalmente legittimante come quella cinematografica. Dove le iperboli del recente passato coesistono con le soglie di un mondo sì grammaticalmente eclettico, ma sempre riconoscibile. Tale da rendere intramontabile la mitologia di Lupin presso i cuori di intere generazioni di spettatori: stregati da personaggi-icone che non smettono, nonostante le variazioni a cui sono sottoposti nel tempo, di essere sé stessi. E di inebriarci allo stesso modo ogni volta che li (r)incontriamo.

Titolo originale: Rupan Sansei: Rupan vs Fukusei Ningen
Regia: Sōji Yoshikawa
Voci: Yasuo Yamada, Kiyoshi Kobayashi, Eiko Masuyama, Makio Inoue, Gorō Naya, Kō Nishimura, Toru Ohira, Hidekatsu Shibata, Shozo Lizuka, Kosei Tomita
Distribuzione: Nexo Digital
Durata: 102′
Origine: Giappone, 1978

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
4
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Il voto dei lettori
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