Pesaro60. Nuovo Cinema VR

Il racconto della nostra esperienza con la VR alla 60ª Mostra del Nuovo Cinema di Pesaro, divisi tra il cosmo di Spheres (prodotto da Aronofsky) e la terra di Emperor

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Qui era la casa ove nel 1799 nacque Terenzio Mamiani”. L’edificio dove è incastonata la targa che porta queste parole sembra uno scherzo del destino. Un palazzo che forma un arco, sommessamente brutale come solo alcuni decenni del Novecento sono riusciti a essere. Osservandolo, alternando la visione con ciò che lo circonda, si potrebbero riprendere con malizia le parole che gli dedicò Giacomo Leopardi ne La ginestra e veder dipinto in tale obbrobrio dell’umana gente // Le magnifiche sorti e progressive. Nascosto al terzo piano, si annida la Casa delle Tecnologie Emergenti. Il fresco pungente dell’aria condizionata stride con l’afa esterna quasi come le idee dei due poeti marchigiani. Solo un’altra persona, però, si è rifugiata dal caldo nella sezione Pesaro Nuovo Cinema VR della 60ª Mostra del Nuovo Cinema. Indossato il casco Oculus, comunque, ha poca importanza chi ci sia fuori. In un attimo, siamo sul picco di una montagna innevata. Chi è venuto prima di noi non si è curato di tornare al menù principale, situato in una città solarpunk. Non basta la visione, bisogna toccare con mano, interagire. Il telecomando punta su una nuova app, col grilletto (il fu R2 su joystick) la selezioniamo. Attorno a noi tutto si fa scuro. Spheres. La scritta si fa costellazione.

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Diretta da Eliza McNitt e con Darren Aronofsky tra i produttori esecutivi, questa virtual reality series è stata presentata nel 2018 a Venezia75 e al Sundance. Divisa in tre capitoli per tre voci narranti femminili che delineano le tre età della donna: Millie Bobby Brown, Jessica Chastain e Patti Smith. Le loro voci ci indicano con delicatezza come innescare l’aurora sulla terra, ci cullano ben oltre l’orizzonte degli eventi di un buco nero e ci incoraggiano ad ascoltare la musica dell’universo. Perché in Spheres non è l’immagine il centro e nemmeno l’interazione con questa, ma il suono (che sia l’audio il fuoricampo di queste esperienze VR?). D’altronde, sono sempre più frequenti gli annunci della NASA con straordinarie fotografie spaziali al seguito di galassie, cluster e nebulose. La musica è forse l’unico elemento che riesce davvero a trasportarci dentro queste distanze abissali, a includerci in quell’armonia universale nel quale siamo un triangolo in un’orchestra composta da centinaia di strumenti. Patti Smith non ci gira attorno: l’universo continuerà a suonare anche senza di noi. Questo, però, vorrebbe dire perdere l’ascoltatore e con esso la differenza tra un urlo di dolore e un pianto di gioia. In circa quaranta minuti, si esaurisce l’esperienza di Spheres, ma non quella del VR alla 60esima Mostra del Cinema di Pesaro. È stato un bel viaggio, informativo e suggestivo, ma nell’interazione limitata si sentono i 6 anni di scarto dall’uscita.

C’è ancora tempo. Con un paio di click siamo di nuovo al menù e in una nuova app. Emperor, di Marion Burger e Ilan J. Cohen (presentato a Venezia Immersive nel 2023). Tutto si fa bianco. Sempre una voce femminile, ma stavolta siamo sulla Terra. Più o meno. Dal bianco emergono dei grigi. Siamo in campagna. La voce della figlia ci racconta del malore del padre, colpito da un ictus che lo ha lasciato con una paralisi parziale e con l’afasia, disturbo legato principalmente al linguaggio. Concluso il prologo, ci ritroviamo seduti a un tavolo. Una donna senza volto, ma dalla voce familiare ci chiede di completare una parola con una penna. Nessuna indicazione dei tasti che dobbiamo premere per scrivere. La nostra mano non ne vuole sapere di completare la parola Dicembre. Cambiamo esercizio, ci chiede di pescare una carta, su cui c’è disegnato un aereo. Un tonfo e un baratro si apre sotto di noi. Le nuvole si allontanano. Stiamo precipitando.

emperor VR

La caduta si trasforma presto in un volo attraverso ricordi sbiaditi e fusi tra loro. In questi intrecci, una bottiglia conficcata per terra può rivelarsi un pesce volante, una colonna trasformarsi in una mano pronta a stringerci nel suo palmo. Tutto, però, è destinato a dissolversi nel bianco. Anche una statua colossale crolla con un fragore che sarebbe probabilmente piaciuto a Percy Shelley. Proprio il sonoro resta la stella polare. La voce ci guida in un processo di riapprendimento del linguaggio, che torna a essere anzitutto un qualcosa di tattile, di fisico, una frequenza che penetra in noi, al di là di qualsiasi senso. “Emperor! Emperor! Emperor!”, l’anziano padre lo ripete in continuazione, ci si impunta senza riuscire ad andar oltre. È una risata a farci uscire da questo vicolo cieco. Il bianco lascia spazio al nero, dove scorrono i titoli di coda. Sopra di essi appare la trascrizione della figlia che ripete gli esercizi con il padre. Ci togliamo il casco, usciamo dalla VR. La sala ora è piena di persone che indossano il casco. Assorte. In silenzio.

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