“Vallanzasca, gli angeli del male” di Michele Placido
Vallanzasca è un cinema fatto di materia, di corpi feriti, colpiti a morte, persino spappolati dall’auto che gli passa sopra fino a sentirne lo scricchiolio delle ossa che si rompono. E’ una furia umana che sembra avvolgere ogni cosa, ogni momento, ogni situazione. C’è sempre il sangue che scorre a fiumi, la violenza che genera violenza, ma dentro il grande contenitore d’impianto cinematografico Doc. Placido realizza il suo “Nemico pubblico”, cinema spettacolare/emozionale che ci racconta come potrebbe essere il cinema italiano…
Vallanzasca è giovane, bello, e vuol godersi la vita (proprio come l’eroe del film di Michael Mann). Entra ed esce dal carcere in continuazione, la stampa ne fa una star e il suo fascino cattura il pubblico femminile. Non è Johnny Depp ma è Kim Rossi Stuart, che regge il confronto. Solo che Placido non è Michael Mann, e lo sa, e scaraventa sullo schermo tutta la sua esperienza cinematografica, maturata proprio in quegli Anni Settanta, sia come attore, poi regista, ma anche, crediamo, come attento spettatore/consumatore di cinema. Perché visivamente il film sembra molto ispirarsi al poliziottesco all’italiana, con quella forza quasi “naturalistica” dell’azione, degli inseguimenti stile stuntman pre-digitale, e dobbiamo riconsocere che un’inseguimento bello come quello che Vallanzasca fa al suo rivale Turatello (Francesco Scianna), in galleria, non lo vedevamo da I padroni della notte, ma stiamo parlando di James Gray, signori, uno dei più grandi cineasti viventi… Ma Vallanzasca è, soprattutto, un cinema fatto di materia, di corpi feriti, colpiti a morte, persino – ed è l’unico momento in cui l’eroe piange in tutto il film, – spappolati dall’auto che gli passa sopra fino a sentirne lo scricchiolio delle ossa che si rompono (omaggio, indiretto, all’omicidio di Pasolini?). E’ una furia umana che sembra avvolgere ogni cosa, ogni momento, ogni situazione. C’è sempre il sangue che scorre a fiumi, la violenza che genera violenza, ma dentro il grande contenitore Placidiano d’impianto cinematografico Doc (e le citazioni forti: i secondini picchiano forte Vallazasca in prigione, lui sanguinante si rialza sorridente, urlando “mio padre mena più forte”… ricordate Marlon Brando ne Il selvaggio?). C’è l’azione, della rapina continua, della fuga continua, il sesso, le droghe che arrivano a svalvolare i suoi compari (un Filippo Timi da “miglior attore non protagonista” del Festival, già un flash luminoso in The American), e la famiglia, creata, sgretolata e vista scorrere davanti agli occhi, in una delle scene più intense e commoventi del film. La moglie Consuelo (Valeria Solarino), è con il figlio e con l’uomo, un imprenditore qualunque, che gli sta facendo vivere una “vita normale”. Vallanzasca li segue, li vede, sta per uscire dalla macchina e intervenire, ma qualcosa lo trattiene. E resta lì ad osservara la sua famiglia che ora è la famiglia di un altro, che vive una vita possibile, un’altra vita, non la sua. Sono attimi di puro cinema da brividi, stile Carlitos’ way, ma che se li gira un cineasta italiano non li scorgiamo, chissà perché. E infatti alla critica Placido non piace. Pazienza, sopravviveremo. Ma se il cinema italiano fosse davvero come il cinema di Michele Placido, forse avremmo un altro “immaginario collettivo”…chissà… Presi dalla visione, da questo cinema di pancia e cuore, non riuscivamo a capire come mai non avevamo mai notato questa attrice italiana così straordianriamente bella quanto straordinariamente brava che interpreta la “sorella” Antonella: poi scopriamo che è Paz Vega. Con lei si può solo fare cinema, che altro?…
bella recensione, direi gran recensione, peccato non si sappia di chi sia.
Grazie della segnalazione, era saltata per errore la firma, del nostro direttore, Federico Chiacchiari.
è vero una recensione bella e pertinente. Credo che le mancanze di placido, che lo privano di una legittimazione critica, siano nella fotografia, che ha sempre qualcosa di patinato, e nel sapre tratteggiare certe epoche e non altre. In Vallanzasca mi aspetterei una luce cruda,alla inarritu per intenderci. il racconto è riuscito vero, perchè si confronta con la realtà e il sociale. Quando invece prova ad affrontare la politica non riesce. non è nelle sue corde. In "prima linea" ad esempio la complessità politica del personaggio e del momento storico sono mancate completamente. Placido probabilmente riesce a raccontare meglio la malavita pura rispetto all'eversione armata. E kim rossi stuart riesce la dove non è riuscito scamarcio. troppo privo di profondità negli occhi per riassumere le scelte politico esistenziali del'epoca.
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