La serata conclusiva del Donnafugata Film Festival comincia con la presentazione di un libro importante. Nell’ultimo “quaderno di corallo”, collana curata dal fondatore del festival Salvatore Schembari e Giulia Cacciatore, si incontrano più discipline, su un terreno diverso però dagli schermi digitali nei quali ormai confluisce (o viene assorbito) quasi tutto. Nel piccolo volume rosso si incontrano la pittura di Fabio Salafia e le parole di Giovanni Ricciardi. Si conoscono in un liceo di Roma, il primo professore di discipline pittoriche e il secondo di greco e latino, nel periodo peggiore per la scuola, durante la pandemia, quando aule e corridoi somigliano ad ambulatori. Proprio nel momento in cui tutto agisce per tenere separate le persone, Salafia e Ricciardi si incontrano, così come nel volume di Salarchi Immagini si incontrano le loro opere, formando connessioni inaspettate che si potranno fissare o rincorrere nell’ultima parte del volume. La sezione Carnet Blanc offre al lettore un buon numero di pagine bianche, non tanto da riempire quanto da esplorare.

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È all’insegna dell’incontro, stavolta tragico, la conversazione successiva di questa serata finale del Donnafugata Film Festival. Torna per la terza serata di fila il guest director Maurizio Zaccaro, che presenta il suo film Nour alla presenza del “medico di Lampedusa” Pietro Bartolo (nel film interpretato da Sergio Castellitto), a cui la storia è ispirata. Più di 350 000 persone visitate, moltissime ispezioni cadaveriche (più di chiunque altro al mondo), ma i numeri contano decisamente meno delle persone per il medico che ha gestito il fenomeno della migrazione nel punto più caldo di tutti. Bartolo, in un intervento estremamente commovente, racconta la sua esperienza, sfata le idee avvelenate da una classe politica che ha fatto più volte campagna elettorale sulla pelle di chi fugge senza avere alternative.  Alla platea spiega anche la sua sortita politica, da europarlamentare tra il 2019 e il 2024. Avrebbe voluto fare qualcosa per i bambini, le donne e gli uomini che lo tormentano in sogno e per coloro che ancora devono partire, per poter dire ai suoi nipoti di aver fatto qualcosa per impedire quello che ai suoi occhi è un genocidio. Avrebbe voluto continuare l’impegno politico in parlamento, ma a questa tornata non ce l’ha fatta per un pugno di voti, non essendosi appoggiato a grandi partiti. Il suo impegno è rimasto a metà, come dice lui stesso tra le lacrime. Quando si chiude il suo intervento, tutti si alzano in piedi, tra applausi e commozione.

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Il cortile grande del castello di Donnafugata si riempie poi per l’ultima volta. C’è il Chroma Ensemble, un’orchestra di dieci musicisti che suona le musiche di dieci grandi film da Oscar. C’è Il Gladiatore, c’è Forrest Gump, c’è Il favoloso mondo di Amélie. Note che sono delle chiavi di volta per aprire il cuore di chi è stato mosso da queste storie. Lo spettatore viene riportato lì, in un luogo immaginario ed evanescente, che si crea e si distrugge nell’infinitesimale interstizio tra immagine e suono, mondi che richiamano altri mondi. Perché, alla fine, ogni film diventa un’altra opera quando giunge negli occhi di chi guarda. Sta a noi, poi, orientarci nello spazio della fantasia e proiettarci verso le stelle.

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