54.ma BERLINALE – "Samaria": la redenzione di Kim Ki-duk

Il grande regista sudcoreano torna in concorso a Berlino con un melodramma dedicato alla storia di due prostitute adolescenti tra colpa e perdono.
Più terrigno e meno acquatico dei precedenti, Samaria resta la testimonianza di un grande spirito poetico, che sta nel cinema con la forza radicale di uno sguardo diretto e invasivo.

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BERLINO – Sembra più interessato a elaborare il perdono, che ha lavorare sulla colpa, il Kim Ki-duk di Samaria, in concorso alla 54.ma Berlinale tra gli applausi del pubblico. Il melodramma è come sempre forte, più che altro una traccia sulla quale il grande regista sudcoreano (di cui "Fuoriorario" ha da poco trasmesso il fondamentale L'isola) costruisce i suoi universi popolati di figure borderline, dentro/fuori il grande gioco delle emozioni e delle relazioni. Proseguendo sulla strada segnata col recente Springtime, Summer, Fall, Winter, Springtime… (in concorso a Locarno e in uscita anche in Italia), Kim Ki-duk racconta un'altra storia di redenzione, il percorso in una assurda purificazione che porta sempre più dentro la disperazione la sua giovane protagonista.


Ambientato nei sobborghi di Seoul, il film racconta la storia in tre atti di due ragazze adolescenti e del padre di una di loro: le due ragazze, non ancora ventenni, hanno organizzato grazie a internet un piccolo, privatissimo giro di prostutuzione. Jae-Young vende il suo corpo, Yeo-Jim tiene i contatti e controlla che la polizia non faccia irruzione nelle camere d'albergo dove l'amica incontra i suoi clienti. Quando però Jae-Young muore, buttandosi da una finestra nel tentativo di sfuggire alla polizia, Yeo Jim, disperata, cerca una redenzione per sé e la sua compagna, offrendosi ai clienti che erano stati della sua amica e restituendo loro i soldi guadagnati. La tragedia si corona quando il padre della ragazza, un poliziotto, scopre il traffico della figlia e si mette sulle sue tracce per preservarne la purezza e punire i suoi clienti. Sino all'atto estremo, che lo porterà a bruciare la sua esistenza con paterno amore…


Kim Ki-duk stinge il dramma in una messa in scena che va facendosi più conciliata, meno estrema nell'elaborazione emotiva e più razionale nella concezione degli elementi drammaturgici. L'impatto è di sicuro meno forte e non stupisce se la stessa platea che nel 2001 aveva fischiato il capolavoro del regista sudcoreano, Bad Guy, ha oggi applaudito Samaria. Più terrigno e meno acquatico dei precedenti, Samaria resta la testimonianza di un grande spirito poetico, che sta nel cinema con la forza radicale di uno sguardo diretto e invasivo. E' chiaro che Kim Ki-duk sta elaborando una nuova stagione del suo cinema, si tratta dunque di attendere l'evolversi della sua poetica e vedere dove lo porterà la sua ricerca.

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