Visions du Réel 2021 – La lotta, i sogni e l’avvenire

Il Festival di Nyon esplora mondi ed atmosfere lontani, dalla piazza in rivolta di Danzica, al campo di rifugio giordano di Zaatari, per arrivare sull’Oceano, in un villaggio di pescatori filippino

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BANDO BORSE DI STUDIO IN CRITICA, SCENEGGIATURA, FILMMAKING

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Il cinema presentato al Festival di Nyon continua il suo viaggio tra le persone e le storie, presenta lavori differenti per tematiche ed impressioni, ma sempre in movimento verso la scoperta delle radici, in luoghi fuori dai circuiti consueti delle megalopoli, nei paesi e nei villaggi, per una volta al centro dell’attenzione, o nel buio di un passato ormai consegnato ai libri di storia, con l’ausilio dei materiali d’archivio, una ricerca diventata quasi una regola nel compiere un lavoro documentaristico.
Vive appunto di un salto nel tempo 1970 di Tomasz Wolski, film strutturato per raccontare le rivolte seguite all’aumento dei beni di prima necessità in Polonia, undici giorni prima del Natale, ultimo provvedimento di un regime già largamente inviso. La zona interessata dai disordini è quella di Danzica, cuore dei cantieri navali, insieme a Gdynia, e culla di movimenti di protesta guardati con diffidenza da Varsavia, un luogo destinato a diventare negli anni Ottanta l’epicentro di scontri di ben altre dimensioni sotto la guida di Solidarnosc. Da un lato il potere, stanze buie e fumo di sigarette, ricostruito con un animazione in stop motion, e l’uso delle telefonate desecretate per ricomporre la catena di comando delle responsabilità, nell’impartire gli ordini, dall’altro lato la parte urbana, con le riprese originali, gli edifici in fiamme, le sommosse, e l’inquietudine raccolta sulla strada, tra le grida e i lacrimogeni, ed una gioventù inquieta, guidata da universitari ed operai. Un dispositivo molto efficace per narrare l’escalation di quelle giornate convulse, chiuse da misure di repressione estreme, con i proiettili usati per sparare tra la folla, le sassaiole, i morti e i feriti.

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Il fuoco di Last Days at Sea di Venice De Castro Atienza è su un piccolo villaggio di pescatori delle Filippine, dove vive Reboy, un ragazzo dodicenne in procinto di partire verso la grande città per andare a scuola. Nel tempo di un’estate il film passa in rivista la sua vita, i tuffi nelle acque cristalline, il sorriso perenne, i paesaggi dai colori straordinari, il clima spensierato, le aspettative per un futuro imminente e la speranza di un lavoro meno severo rispetto ai genitori. Un ritratto intimo e familiare girato in un angolo di eternità, una bolla nel mare disteso all’infinito sull’orizzonte, ed il rumore delle onde in sottofondo. Uomo e natura sembrano fondersi in un solo elemento armonico, l’attesa viene vissuta senza rimpianto né apprensione, lo sbocco naturale di un percorso di crescita, rappresentato come un’istantanea, un frammento in assenza di progressione.

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Vivono in un’isola ben diversa i protagonisti di Captains of Zaatari di Ali El Arabi, due ragazzi siriani rifugiati nel campo di Zaatari, in Giordania, per fuggire dalla guerra. Condividono un sogno, quello di essere un giorno dei calciatori professionisti, e per raggiungere lo scopo si allenano ogni giorno. La grande occasione sembra arrivare quando vengono selezionati da un’accademia con sede in Qatar per partecipare ad un raduno, valorizzato con la presenza di squadre come il Bayern o calciatori come Xavi, per dare lustro all’iniziativa. Il film racconta quell’avventura, l’entusiasmo e la delusione, l’arrivo negli hotel di lusso ed il contrasto con le durissime condizione dei campi, l’aspirazione ad un avvenire di successo, lo sviluppo della consapevolezza dopo una sconfitta, l’importanza dello studio per cercare di cambiare le cose. C’è qualcosa di amaro nell’epilogo, nella constatazione di una realtà più forte delle illusioni, di un destino sempre e comunque incombente. Ma probabilmente il segno dell’utopia è l’ultima difesa di un mondo sotto assedio.

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