Clint Eastwood: A Cinematic Legacy, di Gary Leva
A volte ridondante in alcuni passaggi riesce a ripercorrere quasi tutta la filmografia di Clint Eastwood attraverso interviste e materiali d’archivio. Fuori Concorso
Era il 26 novembre 1971 quando usciva nelle sale italiane Brivido nella notte, il primo film che vedeva dietro la macchina da presa un giovane quanto talentuoso Clint Eastwood. Oggi 1 dicembre viene pressentata, in anteprima italiana al Torino Film Festival, l’ultima fatica del regista americano: Cry Macho. Cinquant’anni possono sembrare un’eternità. L’unico che sembra non sentire gli anni che passano è proprio Eastwood che continua imperterrito a sfornare film dalla cadenza quasi annuale. Negli USA gli incassi dei suoi film ammontano a più di 1.71 miliardi, con una media di 37 milioni a film. Anche per questo, la sua casa di produzione Warner Bros, a cui è stato fedele per tutti questi anni, ha deciso di rendergli omaggio con un documentario dalla cadenza trionfale realizzato dal regista Gary Leva.
Il regista decide di legare in più di due ore un’immensa quantità di materiale audiovisivo formata da materiale backstage, interviste inedite e clip storiche tratte dai suoi migliori titoli. Il film è articolato in nove capitoli che, secondo Leva, caratterizzano Eastwood non solo come regista ma soprattutto come uomo.
A volte ridondante in alcuni passaggi, A Cinematic Legacy riesce a toccare quasi tutta la filmografia di Eastwood, partendo dal già citato Brivido nella notte, passando per Bronco Billy e Gli spietati (film che, a detta di Martin Scorsese, ha riscritto le regole del western), arrivando a Million Dollar Baby e The Mule. A mancare più di tutto è una direzione chiara e precisa, in grado di influenzare veramente questo documentario, salvandolo dall’ anonimato.
I volti che si prestano a questa ricostruzione sono assolutamente di prim’ordine: Martin Scorsese, Meryl Streep, Steven Spielberg, Forrest Whitaker, Tom Hanks. A colpire più nel segno, però, sono le citazioni proprio dei film di Eastwood: “Ogni uomo deve conoscere i suoi limiti.”
Capitolo dopo capitolo è sempre più chiaro come i suoi personaggi, la sua adesione completa alla realtà, senza scendere a patti con la retorica, abbiano influenzato così tanto chi lavorava con lui o chi lo ha voluto emulare. Molto interessanti da questo punto di vista le parole di Arnold Schwarzenegger: “Ciò che mi spinse a fare cinema fu la visione dei suoi film. Rimasi conquistato dalla multidimensionalità dei suoi personaggi. Da una parte così freddi e cinici e dall’altra così ironici e profondi.”
Nonostante la sua decisione a non scendere a patti con niente e con nessuno, rimane impressionate per tutti come il suo lavoro sia sempre stato costante nel toccare quel nervo scoperto tipicamente americano. I suoi film, che trattassero la figura dell’eroe moderno o che criticassero aspramente i rappresentati della legge, hanno sempre colpito nel segno. Una grande fetta della popolazione americana (ma anche europea) non si è mai stancata dei suoi film, qualunque genere il regista decidesse di toccare. Western, storie d’amore, imprese di guerra: Eastwood ha sempre dimostrato il suo eclettismo senza mai volerlo esibire. Questo e molto altro ancora lo rendono uno dei più grandi di sempre.