L’epoca infinita del Food

Da The Bear a The Menu, da Boiling Point a Menu Plaisirs, un trend che non mostra segni di cedimento, dai reel dei foodblogger fino alla puntata di MasterChef dentro il Museo del Cinema di Torino

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BANDO BORSE DI STUDIO IN CRITICA, SCENEGGIATURA, FILMMAKING

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Il successo della serie Tv The Bear ci racconta, tra le altre cose, quanta tenitura stia dimostrando, anche sul lungo periodo, la bolla del cosiddetto trend del “food” tra programmi televisivi, cinema (un altro esempio è il rutilante La Cocina di Alonso Ruizpalacios visto alla Berlinale 2024) e serialità. Il noto chef e imprenditore Alessandro Borghese, in un’intervista recente all’interno del podcast Tintoria, ha raccontato del dietro le quinte dei programmi che conduce, soprattutto di 4 Ristoranti in cui titolari di locali valutano a vicenda tra di loro le proprie attività, sotto la sua supervisione, utilizzando come parametri di valutazione location, servizio, menu e conto. Il cibo, oltre che ad essere origine di aspri conflitti tra i ristoratori che spesso si conoscono, diventa proprio un elemento culturale da difendere, con la sua tradizione che per ogni ristoratore va rispettata. I momenti delle votazioni sono sempre molto tesi perché gli chef tendono a dare voti bassi ai loro sfidanti in modo da portare in vantaggio il proprio ristorante, con il rischio che non vinca spesso il miglior ristorante per la qualità, come ammesso dallo stesso Borghese.

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Sicuramente il noto programma MasterChef è stato tra i principali precursori di questa  tendenza odierna quasi bulimica di programmi di cucina, con una gara alla portata di tutti, dove chiunque può cucinare come diceva lo chef Gusteau in Ratatouille di Brad Bird.

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Creato dal regista britannico Franc Roddam per la Bbc nel 1990, nel 2005 il format è stato rinnovato e si è diffuso in molti altri Paesi, diventando il programma culinario che ha prodotto il maggior numero di adattamenti internazionali, arrivando a circa 200 produzioni in 60 Paesi del mondo. Regista e uomo di spettacolo inglese, Roddam ha dichiarato in una intervista di Ernesto Assante per il quotidiano La Repubblica: “Lavoravo a Hollywood e mantenevo un piede in Inghilterra, ma tutto era sempre più difficile. Ho capito che se volevo controllare il mio destino dovevo diventare un produttore, per poter guadagnare dei soldi da spendere per arte e cinema. Così è nato MasterChef: era la chiave di volta, l’ho visto come una cosa pratica. E oggi con quel denaro faccio tv, cinema, libri, fumetti, ma anche beneficenza. Non vorrei che si pensasse, però, che non amo MasterChef, trovo sia un programma bellissimo, che spinge la gente a chiedere di più, ad aspettarsi di più dalla vita”.

Non un talent show ma un “cooking show” che mescola generi diversi e, nelle intenzioni di Roddam, anche di più: “L’idea di base era democratizzare la buona cucina. Quando ero a Hollywood capitava spesso di mangiare male, andavo a cena con Larry Kasdan o Mel Brooks e tutti si lamentavano. A Londra invece trovavo ristoranti fantastici, ma davvero troppo costosi. Mi venne in mente uno slogan della rivoluzione francese, ‘Cibo per il popolo e dal popolo’, che sottolineava l’abbondanza ma non pensava alla qualità. Ecco, il cuore di MasterChef è la democratizzazione della qualità del cibo, che può essere raggiunta con le idee, non con il denaro. Mia nonna era una grande cuoca e spendeva con parsimonia. La nostra filosofia è quella di un programma educativo e di cultura culinaria”.

Pressure test, mistery box, prove in esterna sono ormai rientrati nel nostro vocabolario, come se la cucina avesse livelli paragonabili a quelli di un videogioco. Il modo in cui ogni puntata del noto programma viene ripreso crea quell’inspiegabile senso di angoscia da parte dello spettatore che si sente un tutt’uno nella preparazione delle ricette (le interviste ai concorrenti inserite come se stessero commentando in diretta quanto accade sono un’intuizione linguistica cruciale per la nostra percezione di eterno presente). Per quanto poi possiamo non capirci nulla di cucina, sappiamo quale salsa è adatta in quel piatto, il grado di cottura della carne e la composizione del piatto, e in un attimo diventiamo noi giudici.

Altro elemento che ha determinato probabilmente il successo di programmi televisivi come MasterChef è il senso di vicinanza con i candidati, descritti sempre come persone che cercano un riscatto nella loro vita.

 

 

 

 

L’episodio 20 dell’ultima edizione al momento di MasterChef Italia, la 13esima, ha posto una riflessione sul rapporto tra cucina e cinema. In quell’episodio i concorrenti hanno dovuto cucinare dei piatti che richiamassero dei film, per poi essere giudicati sia da critici gastronomici che cinematografici. In quell’occasione il critico Gianni Canova fa un parallelismo interessante tra cucina e cinema: la ricetta è come la sceneggiatura, gli chef come i registi e in entrambi casi il risultato finale è cibo, che sia per il corpo o per la mente.

Negli anni si sono poi succeduti i più svariati programmi di cucina dove non più chef professionisti ma casalinghe, influencer si mettono alla prova ai fornelli, mentre sui social media fioriscono post, reel, dove il cibo diventa la spettacolarizzazione del piacere per quanto non si possa sentire il gusto, aggiornamento dei programmi di ricette all’epoca dei video verticali e delle riprese della preparazione in soggettiva del cuoco, e i tag #food #delicious #foodporn descrivono il piatto che sembra quasi avere gli elementi di una carta di identità come vegano, dietetico, proteico.

Boiling point – il disastro è servito di Philip Barantini, con il suo piano sequenza fa una riflessione sul mondo dinamico della ristorazione visto dall’interno della cucina, mentre The Menu di Mark Mylod é un po’ come se fosse l’altra faccia di tutto questo, con una critica ai cooking show, ai critici gastronomici e al business legato alla cucina. Frederick Wiseman affronta il tema con lo straordinario Menu Plaisirs, in cui un ristorante gourmet di altissima cucina nelle campagne francesi diventa il teatro di una saga familiare che intreccia intere generazioni.

E si è appena conclusa la decima stagione di Cucine da Incubo con Antonino Cannavacciuolo: siamo sicuri però che lo chef è destinato a rifilare pacche ai suoi concorrenti ancora per molto tempo…

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