Parla con lei, di Pedro Almodóvar
Un acceso, fiammeggiante mélo, tra amore e morte con echi di Sirk e Fassbinder in cui si contaminano le diverse forme d’arte come in un’opera d’arte totale. Struggente. In versione restaurata.
La parola come forma di sopravvivenza. Se in Truffaut, con Fahrenheit 451 questa necessità veniva esplicitata nella pagina scritta, in Parla con lei si manifesta direttamente, attraverso monologhi verbali unidirezionali. La parola non diventa così solo uno strumento di comunicazione ma, come spesso avviene in Almodóvar, quasi la manifestazione fisica di una confessione, la struggente ricerca di una complicità, il bisogno di un monologo, di un abbandono per potersi sentire ascoltati. In questo senso, dentro Parla con lei (il titolo si riferisce alla ricerca di una comunicazione tra l’infermiere Benigno nei confronti di Alicia, una studentessa di danza in coma da 4 anni) c’è un’emanazione continua di calore, una forza vitale quasi distruttiva per la forza con cui si propaga, una disperazione struggente, tutti elementi che caricano sempre inquadrature così troppo dense, piene di dettagli, colori, umanità che (si) sprigionano e faticano quasi a restare intrappolati all’interno del campo visivo.
In effetti anche in Parla con lei c’è un sipario che si alza apre il film e lascia penetrare dentro un universo umano così forte che fa trasparire la propria inadeguatezza a restare intrappolato dentro l’arte, lo spettacolo. In Almodóvar le diverse forme d’arte come la danza (il balletto di Pina Bausch che apre e chiude l’opera), la musica (la canzone di Caetano Veloso), il cinema (un film “ricreato” dal titolo L’amante calante ricreato su un bianco e nero fantastico/horror che richiama forse il cinema surrealista all’epoca del muto) diventano espressione collettiva atta a costruire, quasi in senso wagneriano, un’opera d’arte totale, capace di contenere dentro di sé le forme della rappresentazione e, insieme, quelle della vita.
C’è un voyeurismo hitchcockiano nei continui sguardi di Benigno dal proprio appartamento ai vetri della scuola di danza che si trova di fronte al proprio palazzo da cui l’uomo può osservare Alicia. C’è anche quella forza melodrammatica così accesa, così vistosa di Douglas Sirk e di Rainer Werner Fassbinder nel materializzare la progressiva distruzione mentale e fisica per amore (Benigno paga con la propria vita – il carcere e il suicidio – dopo aver ridato la vita ad Alicia), c’è quel continuo senso di premonizione che sembra già anticipare gli eventi prima di mostrarli, come la splendida sequenza dei momenti che precedono la corrida (e la corrida stessa) in cui Lydia resta gravemente ferita. Il cinema di Almodóvar sembra così sempre sul punto di esplodere per come tocca direttamente, per come costringe i sensi a entrare in gioco.
Un cinema sempre più indefinibile per come è diventato consapevole, sfuggente per come è riconoscibile. Parla con lei è un altro capolavoro ancora troppo vero, che tocca ancora troppo da vicino, che materializza emozioni che sembrano instaurare quasi quel rapporto teatrale del “feed-back” (gli attori che, sul palcoscenico, possono decidere di cambiare, anche se in maniera impercettibile, la loro interpretazione sulla scena in base alla reazione del pubbico) perché vissute – e lasciate vivere – senza nessun filtro. Né di costruzione drammaturgica, né di scrittura.
Titolo originale: Hable con ella
Regia: Pedro Almodóvar
Interpreti: Javier Cámara, Dario Grandinetti, Leonor Watling, Rosario Flores,Geraldine Chaplin, Mariola Fuentes, Fele Martinez, Paz Vega, Elena Anaya, Adolfo Fernandez
Distribuzione: CG Entertainment. In collaborazione con Cinema Beltrade – Barz and Hippo
Durata: 112’
Origine: Spagna, 2002
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