Pesaro60 – Incontro con Luca Guadagnino

Il regista palermitano, ospite d’onore alla 60° Mostra del Nuovo Cinema di Pesaro, ha parlato del suo lavoro in un incontro col pubblico, dalla scoperta della Nouvelle Vague fino ai progetti futuri

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Ospite d’onore della 60a Mostra Internazionale del Nuovo Cinema di Pesaro e protagonista della monografia critica “Spettri del desiderio. Il cinema e il film di Luca Guadagnino“, Guadagnino ha partecipato ad un incontro col pubblico al Teatro Sperimentale. Dalla folgorante scoperta della Nouvelle Vague a 12 anni fino ai progetti più recenti, il regista di Challengers ha dialogato con Pedro Armocida, direttore del festival, i curatori del volume Cecilia Ermini e Simone Emiliani e diversi altri critici che hanno collaborato alla stesura del volume, tra cui Marco Grosoli, Sergio Sozzo e Raffaele Meale.

E a proposito del suo rapporto storico, viscerale ed emozionale col cinema, Guadagnino ha detto: “La scoperta della Nouvelle Vague e dei suoi autori come forma epifanica, è assolutamente vera. Nulla poteva essere com’era prima dopo la Nouvelle Vague. E proprio la Nouvelle Vague ci insegna che l’immagine non è mai scorporata dal pensiero sull’immagine e che il cinema esiste in una sorta di generarsi costante attraverso il cinema che già c’è, il cinema che si pensa e il cinema che si sogna. Per me aver potuto incontrare questo sistema di pensiero è stato anche una salvezza. Visto che avete omaggiato il mio caro amico Franco Maresco, è da quando conobbi Franco a 15 anni che mi dice che il cinema è morto. Devo dire, per dichiarare morto il cinema, bisogna capire che cosa significa il cinema. Se vediamo delle proposte audiovisive mettere in atto una sorta di intrattenimento e una visualizzazione di un tema, di una storia, di un copione, allora tendo a dare molta ragione a Franco Maresco. Però, per quanto abbia preso il sopravvento principalmente questo modo di fare cinema, non credo che siamo a secco di punti di vista sul cinema che possano mettere in atto una prospettiva che con le immagini scardini il pensiero di chi guarda. Non so se io riesco a farlo, ma come spettatore è quello che mi interessa“.

Guadagnino ha poi approfondito il discorso circa la rappresentazione dei corpi nel suo cinema in relazione al cinema del passato: “La verità è che quando io compongo le presenze dei miei film, quindi faccio la scelta degli attori, parto sempre da un’attenzione molto forte verso di loro, cioè mi interessa non tanto se sono bravi a recitare, quanto se distinguo una tridimensionalità che penso possa essere catturata dalla mia macchina da presa e dall’obiettivo che utilizzo. È chiaro che la produzione cinematografica e audiovisiva, per di più col diluvio di produzioni che è uscita con lo streaming che ha moltiplicato i numeri dei film che si fanno, non corrisponde veramente a un cinema che mette in atto una riflessione sul suo rappresentarsi e sul rappresentare. Però diciamo che quello è indifferente. La passione che mi spinge è proprio quella di vedere questi corpi nello spazio. Quando faccio film ambientati nel passato probabilmente li faccio non dal punto di vista della rappresentazione del passato, ma di cosa vuol dire portare allo scoperto un passato dal mio punto di vista. Diciamo che non ho mai fatto un film ambientato nel contemporaneo, perché c’è sempre una piccola retrodatazione. C’è sempre il filtro della distanza. L’oggi è interessante, ma bisogna anche cercare di deflettersi dall’oggi perché l’ambizione megalomane è quella di fare dei film che possano apparire classici nel tempo. Ci sono molti titoli che a seconda delle decadi si appoggiano sui trend del contemporaneo, ma è più una questione di contenuto secondo me. I corpi sono corpi in quanto tali sempre. Possono essere rappresentati in modo diverso, ma quello dipende dall’occhio che li guarda e dal diverso tipo di voyeurismo di ciascuno di noi registi“.

La riflessione si è poi spostata sullo slittamento del presente, del tempo, all’interno delle storie che racconta e alle possibili deviazioni che possono prendere: “Penso che queste fratture che partono dall’idea che una storia debba percorrere un percorso che è dato e si debba concludere in se stessa, sia la mia forma di resistenza al pensiero hollywoodiano dominante. Ma da dove li prendo gli strumenti? Dagli stessi autori che lo fanno, perché il cinema classico hollywoodiano è sempre stato una grande lezione su qualcosa che ti fa vedere una cosa e te ne dice un’altra. Molti maestri come Raoul Walsh, Roger Corman e quindi anche Jonathan Demme, o Joe Dante, hanno preso quel sistema che era codificato, sia dalla politica, il maccartismo, i codici, sia dagli Studios, e li hanno spezzati, li hanno contaminati. Quindi, quando mi si pone di fronte la possibilità di fare un film all’interno di quel sistema o partendo da quel punto di vista di impostazione strutturale, mi sembra sempre necessario e fondamentale che venga messa in atto una fuga da questa sorta di terrore narrativo che deve costringere una cosa ad essere se stessa, perché mi piace pensare che una cosa non è mai solo se stessa. È un pensiero terribile, fascista, di destra, e il cinema non può essere questa cosa”.

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Guadagnino si è infine lasciato andare a qualche anticipazione sui progetti futuri: “Sto lavorando a quattro film. Il prossimo sarà Queer (adattamento dell’omonimo romanzo di William S. Burroughs – NdR) che sarà il mio film più personale ed è un omaggio a Powell e Pressburger, in cui compariranno anche David Lowery, Ariel Schulman e Lisandro Alonso. Poi After the Hunt, con Julia Roberts, Andrew Garfield e Ayo Edebiri. Una dedica al cinema bergmaniano di Woody Allen. Sto lavorando anche a un nuovo documentario che si chiamerà Joie de vivre, su di me e Bernardo Bertolucci”. E sull’adattamento di Camere separate di Pier Vittorio Tondelli, previsto inizialmente per ottobre, dice “Non so quando, ma si farà“.

 

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