KEISER racconto di Fabrizio Vezzino

Era la terza volta che cercava di scalare quella cazzo di torre. Già due volte si era spalmato sulle rocce sottostanti ma adesso conosceva tutte le insidie del percorso e sapeva dove mettere le mani e i piedi per arrivare fino in cima. Sempre che, nessuno fosse venuto a sfotterlo nell’impresa: mezzi morti, arpie, mercenari o volgare truppa che scorgendolo ne avrebbero determinato la fine.
Quanto gli sarebbe mancato Joe Splatt in copertura lo aveva capito nell’ attimo stesso in cui aveva visto il suo braccio, strappato da una palla di fuoco, portarsi via l’arma, la scapola ed un intero polmone. Era solo, senza scorta, senza energie ma aveva con se la daga, temprata nel sangue di una vergine, necessaria ad uccidere il Keiser.

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Ci aveva messo una vita ad arrivare lassù: rannicchiato in una feritoia proprio sotto i merli ripeteva nella mente la sequenza di gesti che l’ avrebbe portato alle scale del bastione e da li nei meandri del maniero dove si sarebbe compiuto il suo destino.
Stava per lanciarsi verso la fortificazione che lo sovrastava quando una melodia in lontananza lo distrasse: ”Manson cazzo! È Marylin Manson!” un coatto in auto rimandava a palla la musica del maledetto che la sua tipa tanto apprezzava “Fanculo porta sfiga! Prima le guardie, prima le guardie poi penso anche alla musica”.
Finalmente si issò su un merlo e li aspettò che la ronda passasse per correre come un dannato verso la garitta centrale; li dietro si sarebbe dovuto nascondere fino a che le altre guardie compiessero un intero giro e solo dopo, si sarebbe potuto fiondare verso quella piccola porta da dove salivano luci e rumori del palazzo. “Dove siete cazzo, dove siete? Sfoderate i vostri brutti musi stronzi, tutti in aria vi faccio saltare! Stronzi!” Sapeva però di non dover perdere di vista il suo obiettivo, non poteva perdersi in puttanate strada facendo. Girava come un rettile la testa di qua e di la in cerca della seconda ronda che non tardò: passo’ a pochi metri dal suo nascondiglio per allontanarsi lungo il muraglione a Nord. Fu allora che tenendosi basso, raggiunse velocemente l’accesso alle scale e prese a scenderle felpatamente, radente i muri, con la spada nella mano destra e la daga nella sinistra.
Un fremito che non era il suo lo prese. Era il vibro del cellulare, era Tatiana, la sua manza. ”Cazzo! Cazzo! Cazzo! Proprio adesso?” Rispondendo correva il rischio di farsela menare sulle sue malsane avventure se non lo avesse fatto sarebbe stato lui a menarselo per un bel po’. “Tati, baby scusami ho le mani occupate ti richiamo a minuti? scusa ? ciao!” E spense l’ aggeggio; c’ avrebbe messo una pezza a colori dopo, ora doveva trovare il Keiser.
In un’altra vita Guido il druido gli aveva svelato il segreto per ucciderlo ed ora era li con l’unica arma adatta allo scopo, alla sua caccia sicuro di poterlo trovare a fiuto pur non conoscendone l’odore. Avrebbe dovuto piantargli la daga tra il collo e la spalla, giù fino al cuore, nell’ esiguo spazio che la corazza lasciava scoperto. Ma per non farsi fottere subito doveva zompargli intorno sempre verso sinistra ed ingaggiarlo velocemente con la spada. Il Keiser, pochi lo sapevano, era orbo dall’occhio destro e con questa manfrina avrebbe potuto scegliere l’attimo propizio senza rimetterci il culo.
Stranamente era arrivato al pianterreno senza incontrare anima viva e si era diretto verso la sala del trono: il keiser era sicuramente li. Circospetto attraversava sale e corridoi controllando ogni singolo anfratto paventando chissà quali insidie ma misteriosamente non c’era ness…”Aaargh!” Un’ arpia staccatasi dal soffitto gli si era avventata addosso e azzannatolo sulla spalla lo stava prosciugando.
Non poteva contaminare la lama della daga e la spada era troppo lunga per infilare la bestia a quella distanza. In un lampo, d’istinto e di genio, la cinse con la spada e tirò con le due mani fino a tagliarla in due: “Muori troia!” Il suo sangue si mischiò alla poltiglia verde che schizzava dai due pezzi della cessa creatura ma la vera rogna era che ormai non avrebbe mai avuto energia a sufficienza per compiere il suo macabro balletto. Avrebbe dovuto giocarsi il tutto per tutto in un unico attacco frontale: un balzo, imperioso alla Pizzul, uno solo.
Con la serenità di un kamikaze, si concentrò pochi secondi davanti alla porta chiusa della sala del trono; la spalancò con un calcio e finalmente se lo trovò davanti. La sua faccia l’ aveva vista bene solo sulle copertine delle riviste; sul web era già diventata un icona del terrore: ora gli era chiaro il perché. Evitò d’ incrociare il suo sguardo, non l’ avrebbe retto. Pensò ad un casino di cose e tutte assieme, respirò come se tutto il suo corpo fosse una spugna e fece un passo indietro per caricare e lanciarsi. Spiccò il balzo, si fermò il tempo. Il suo sguardo e quello dell’antagonista si fusero mentre la gravità si decise a riportarlo verso la bestia. Puntò la daga verso l’unico vulnus quando si accorse che già stava scivolando con viscere e budella sulla fredda lama brandita dal Kesier. Era stato anticipato e non era riuscito a scalfirlo. La colonna vertebrale spezzata, penzolava come un pollo di rosticceria con il culo sull’elsa: era morto.
Pensò che non fosse il caso di dirlo agli amici, si accese una sigaretta e decise che invece di sputtanarsi l’ultima vita di quella fottuta partita a Keiser III, sarebbe stato meglio chiamare Tatiana per invitarla a cena: la recensione poteva aspettare.

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