Un piedipiatti a Beverly Hills – Axel F., di Mark Molloy

Nella sua medietà, è forse il grande film della maturità dell’immaginario di Jerry Bruckheimer, malinconico, quasi chiaroscurale, pronto a guardare negli occhi il tempo che passa. Netflix.

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Axel F. Come un tag, come un (meta) dato necessario per assecondare l’algoritmo della piattaforma. Ci sarebbe già tutto uno storytelling a sostenere questa quarta incursione di Eddie Murphy nella saga poliziesca del detective Axel Foley distribuita da Netflix, una narrazione retta, evidentemente, dalla solita, stanca, voglia di revival, dalla nostalgia, dalla volontà di costruire un spazio sicuro ammiccante nei confronti di uno spettatore che vuole perdersi in ricordi vecchi di trenta o quarant’anni.

E magari, almeno da un certo punto di vista, non si andrebbe troppo lontani dalla verità. Perché questo quarto capitolo guarda al passato fin dalla trama, con un Axel Foley ormai in là con gli anni costretto a tornare a Beverly Hills per proteggere la figlia che non vede da anni da una banda di agenti corrotti su cui indagava anche l’amico di sempre, Billy Rosewood. A coordinare il tutto, un altro residuato della saga, Jerry Bruckheimer che sovrintende alla regia di Mark Molloy, una seconda linea, una sorta di company men che pare voler amministrare senza troppi guizzi, un action sempre centrato che deve però soprattutto funzionare come un palcoscenico permanente per Eddie Murphy, che fin dal momento in cui rientra in scena pare scalpitare per tornare nei panni del suo personaggio e non perde occasione per puntellare il racconto con il classico repertorio di gag da one man show della saga.

Ma qualcosa, sottotraccia, pare stridere. Molloy non ha, beninteso, l’estro di un Tony Scott ma comunque non si ferma mai, affastella idee, trovate, coreografie per non interrompere il flusso dell’azione. A volte si impantana in intuizioni non così luminose come crede, in altre è indubbio riesca a piazzare qualche ottimo colpo (come nella sequenza con l’elicottero) ma senz’altro ha l’intuizione di lavorare sulle velocità del film, che lentamente va a due passi diversi e quasi costringe Murphy ad affannarsi pur di tenere il ritmo. Stiamo ancora ridendo con lui o stavolta, dopo trent’anni, stiamo ridendo “di” lui?

Axel F.  un tag ma anche un sottotitolo che sa di identità profonde. Come il magnifico Top Gun – Maverick. Due nomi, due protagonisti che sono anche due immaginari, due idee di cinema sorelle e intersecanti. Ad accomunarli, non solo il rispetto affettuoso con cui ci si riavvicinano a spazi in apparenza polverosi ma anche la produzione del mogul Jerry Bruckheimer. Quello di Maverick è però ancora un cinema ostinatamente luminoso, giovane, eterno, come eterno, mai intaccato dal tempo è lo stesso Maverick per cui concetti come quello di “fine” risultano incomprensibili. E non c’entra solo la narrazione di Tom Cruise, resistente, che intreccia attore e personaggio. C’entra anche il fatto che dal punto di vista di Bruckheimer, se permettesse di invecchiare e morire a quello che fatto è il santo protettore del suo intero immaginario, morirebbe anche il suo cinema. Forse, tuttavia, è arrivato il momento di rompere l’incantesimo.

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Ecco, nella sua generale medietà, Beverly Hills Cop – Axel F. pare il grande film della maturità di Jerry Bruckheimer, letteralmente ossessionato dal raccontare quanto tempo sia passato per il franchise e per i suoi personaggi, quanto questi ultimi risultino schegge fuori tempo massimo, rapito dai corpi imbolsiti e dalla fatigue del cast di vecchie glorie, a cui riserva sguardi tanto calorosi quanto impietosi.

In prospettiva il film di Molloy chiude un discorso già iniziato nel terzo capitolo. Lì, però, a parlare sembrava il solo Landis, impegnato a muovere il film in direzione opposta rispetto a certi input offerti da Murphy. Ora, invece, lo stesso Eddie Murphy è invece evidentemente complice: gioca con il suo essere fuori tempo rispetto al flusso del racconto, ironizza su quanto l’umorismo del suo personaggio non funzioni più al presente, non si scherma nel momento in cui il suo personaggio ha bisogno di aiuto ma soprattutto, per la prima volta, fa un passo indietro e accetta di lasciare il primo piano ai suoi comprimari, riconoscendo quanto l’unico Beverly Hills Cop possibile, oggi, sia un buddy movie a due voci.

Così la magia si rompe ma a subire un duro colpo forse è lo stesso algoritmo. Perché Axel F. pare disinnescare, come Maverick, il bisogno di nostalgia a tutti i costi. Anche se forse manca il vero colpo di grazia, perché così si rischia, paradossalmente, di essersi fatti terra bruciata attorno, costretti, in caso di sequel, forse a contraddire certe lucidissime conclusioni a cui ora si è giunti.

 

Titolo originale: Beverly Hills Cop – Axel F.
Regia: Mark Molloy
Interpreti: Eddie Murphy, John Asheton, Judge Reinhold, Kevin Bacon, Joseph Gordon Levitt, Taylour Page, Paul Reiser, Bronson Pinchot
Distribuzione: Netflix
Durata: 118′
Origine: USA, 2024

 

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3.4
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Il voto dei lettori
3 (2 voti)
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