Horia, di Ana Maria Comanescu

Un on the road di formazione dalle ottime intenzioni, esordio efficace nel raccontare la crescita e il cambiamento. Questa sera al Karawan Fest di Roma

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Horia è un giovane ragazzo timido e impacciato che vive con suo padre – un rozzo meccanico dedito ai vizi e alla sboccataggine – e che in questo esordio di Ana Maria Comanescu vediamo crescere e scoprire il mondo attraverso un viaggio in moto; a bordo della Mobra rossa regalatagli proprio da suo padre. Horia è dichiaratamente un on the road, che si attiene fortemente anche agli stilemi del genere di formazione più classico, raccontando quindi dello svelamento delle cose e delle persone che abitano al di fuori del nostro punto di partenza: la casa. Quindi l’idea di “Altro”, che qui inizialmente viene incarnata dal conflitto-scontro con Stela, una tredicenne poco fortunata nata in un contesto familiare che vuole abbandonare. L’accoppiata tutto sommato funziona, così come il totale cambiamento del personaggio nel corso dell’avventura: il merito di Comanescu è sicuramente quello di ricalcare e confezionare con chiarezza di idee una storia leggibile a chiunque.

Con la chiarezza della struttura narrativa di cui sopra, e quindi la totale messa in mostra del modello narrativo più classico, Horia restituisce sicuramente il gusto del viaggio, ma poi a venire meno è il brivido del rischio o di una fuoriuscita dalla rotta predisposta. Horia poi vuole essere un’opera di raffronto tra due realtà complementari, una giustapposizione tra realtà provinciale e cittadina. Con la progressione del viaggio dei protagonisti in effetti ci si rende conto di una volontà nell’esplorare il contesto d’insieme, perché i momenti più interessanti sembrano essere proprio quelli durante i quali la regia si ferma più del dovuto: quando vediamo Horia ripartire con difficoltà a bordo della sua motocicletta, o quando vediamo i due attraversare le colline e i boschi della Transilvania nella totale spensieratezza, o ancora durante il segmento ambientato nel circo. Nel film è tangibile una voglia di approfondimento nei confronti di quello che i personaggi hanno intorno.

Tutto sommato quello di Comanescu, in programma questa sera al Karawan Fest di Roma, è un esordio interessante, un salto verso la scoperta dell’ignoto, del mondo al di fuori, del non-fatto e non-detto. A conti fatti resta evidente la volontà di non uscire da quegli archetipi, da quei passaggi costruttivi, il canone tipico del racconto di formazione.

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