Blog NET NEUTRALITY – Euro 2024: Silenzio, serve Jasmine…

Due centrali di difesa mancini non importa, basta sappiano costruire dal basso. Se poi magari non amano “randellare”, passa in secondo piano. Meglio il tennis, ancora di più, il silenzio…

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BANDO BORSE DI STUDIO IN CRITICA, SCENEGGIATURA, FILMMAKING

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“La storia è di chi la costruisce”, recita lo slogan che imperversa nella reclame dell’Enel, con Francesco De Gregori alla colonna sonora e il suo pezzo “La storia siamo noi” rivisitato ed edulcorato anche dal presente: “siamo noi, bella ciao, che partiamo…”? Oppure, “siamo noi in queste onde del mare, questo rumore che rompe il silenzio, questo silenzio così duro da masticare…”. “Noi” si voleva essere uno schieramento esclusivo, politico e ideologico, nel trambusto dei giorni nostri, mentre quello stesso “noi” si è esteso nell’etere e nelle onde, senza direzione, aprendo inesorabilmente al “voi”, quel voi che mette distanza, compromette il contatto, il riconoscersi, e che potrebbe scadere addirittura in un “lei”, se il dislivello sociale e culturale si lascia ulteriormente pesare. Prima dell’ultimo atto degli Europei di calcio 2024, tra Spagna ed Inghilterra, e dopo la sconfitta di Jasmine Paolini a Wilmbledon, o meglio, dopo la prima finalista donna italiana a Wimbledon, già finalista al precedente Slam, Roland Garros, con Serena Williams ultima a centrare il duplice traguardo nel 2016, qualcuno ha sparato al Presidente Donald Trump. Un cecchino gli ha forato la parte superiore dell’orecchio destro. Insanguinato, con il pugno alzato al cielo ad arringare ulteriormente la folla della Pennsylvania, in uno dei comizi pre-elettorali, ha avuto la lucidità di esprimere questo profondo ed illuminante pensiero: “Mi hanno sparato, incredibile che avvenga in America…”. Proprio da “voi”, appunto, dove il numero delle armi supera il numero degli abitanti e gli attentati, di vario genere, sono drammaticamente frequenti. Ecco, piuttosto che promuovere la lettura del gioco (e della storia) noi dovremmo promuovere la scrittura del gioco, poiché ciò che si legge è già accaduto, ecco perché dobbiamo concentrarci sulla scrittura, scrivere il gioco, anticipare (prevenire) le decisioni… scrivi il gioco o leggi il gioco, questo è il dilemma.

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Quel cecchino si trovava in un punto non controllato dai servizi di sicurezza ed era stato visto strisciare sul tetto da alcuni passanti già diversi minuti prima che puntasse il suo fucile. Noi restiamo senza parole davanti all’imprevedibile, quando però si tratta davvero di qualcosa di imprevedibile, tipo quel silenzio assordante che non lascia scampo, usato da Christopher Nolan in Oppenheimer, alla detonazione della bomba atomica. Ma è anche quel silenzio richiesto e preteso nello sport del diavolo, il tennis. La forza del silenzio che certamente non rientra nelle qualità italiche più convincenti, eppure nel silenzio abbiamo trovato il riscatto inaspettato con trionfi mai raggiunti prima: Sinner numero uno al mondo e Paolini, di madre polacca e nonno ghanese, corpo tondeggiante, alta 1,63, 28 anni, senza avere la pesantezza di colpi delle sue colleghe, senza avere i centimetri necessari per competere, è riuscita a scalare la classifica ed raggiungere le top five. Un miracolo sportivo, se si considera il tennis lo sport in cui il silenzio è una qualità volontaria e deliberata del tacere, contro l’assedio verbale del nostro sport nazionale, il calcio. Paradosso inconfutabile, rimarcato dallo stesso Nanni Moretti in Aprile del 1998, il quale rivolgendosi a Pietro, suo figlio neonato, si augura non gli vengano le tipiche spallucce vittimiste dei tennisti italiani che perdono sempre per colpa dell’arbitro, del vento, della sfortuna, del nastro, sempre quindi per colpa di qualcuno, mai per colpa loro. Il vento è cambiato. Oggi al rave party risponde il silent party, evento One Night, dove non si ascolta musica, non si beve alcool, non si fuma e dove è severamente vietato parlare, pena l’esclusione. Il White Master prepara i presenti alla totale assenza di suoni, cori, con una sorta di attivazione motoria, fatto di musica “chill out” e rumori naturali. Dopo circa un’ora la festa comincia: i convitati del silenzio siedono su divani e sono sdraiati per terra su tappeti, scorre acqua a fiumi e non succede assolutamente nulla. Ci si guarda a vicenda senza parlare.

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Il nostro Paese potrebbe vivere questo paradosso sensoriale che deriva da una aspettativa delusa (sul calcio) e che può portare a una concentrazione sugli sguardi, sulla postura, sui suoni dei movimenti lenti, preparatori, del tennista, sul pensiero di sé, sulla propria collocazione geo-emotiva, sull’acustica retratta della propria voce che viene interiormente ascoltata. Ma prima bisogna sintonizzarsi sull’anima, vero Luciano Spalletti? Tu che parli con gli animali, ed in particolare con le papere, bisogna sintonizzarsi con il cuore, con lo sguardo. Non basta fare dei gesti. Non basta neppure stare zitti. Occorre uno scopo, una strategia, una volontà tattica. Il gioco di posizione, che tanto predicano ormai su tutti i campi, dalla Spagna, alla Germania, dall’Olanda all’Italia, dall’Inghilterra al Portogallo, dalla Svizzera al Belgio, che piuttosto di promuovere la lettura del gioco, promuove la scrittura, è anche il credo del nostro CT. Ciò che si legge è già accaduto, ecco perché dobbiamo concentrarci sulla scrittura, scrivere il gioco, sceneggiarlo, per anticipare le decisioni. Allora, schierare due centrali di difesa mancini non importa, basta sappiano impostare il gioco dal basso. Se poi magari non sono proprio il massimo a “randellare”, passa in secondo piano. Schierare due metodisti che sappiano ruotare e proporsi costantemente per avere sempre il comando delle operazioni, questa è la costante necessaria per il dominio. Il gioco di posizione, fatto di tanti brevi passaggi per poi attaccare il lato debole dell’avversario, in cui si può sfruttare la superiorità numerica, dietro ogni linea di pressione, cercando uomini liberi tra le linee, appunto, è la filosofia dominante, fatta perfettamente da pochi e scimmiottata dai più. Attirare il “nemico” per ricercare zone in cui c’è scarsa densità di interpreti, attraverso rotazioni continue e scambi di posizioni.

È una continua e costante ricerca della verità, una verità che non troveremo mai, ma proprio per questo va continuata a cercare, un po’ come avere fede ciecamente in qualcosa o qualcuno. Ebbene i calciatori si liberano dai ruoli predeterminati per assumere una funzione, per cui si riconoscono nella situazione e comprendono quale è il loro compito in quella determinata circostanza. Ma quando il talento scarseggia come si fa? È vero, si può e si deve lavorare di più e meglio per accrescere l’intelligenza calcistica dei protagonisti, ma puntare quasi esclusivamente sulla fisicità e gli “sponsor”, direbbe Zeman, certo non aiuta. Ci sarebbe la spinta motivazionale a fare la differenza, ma su quella bisogna lavorare prima di tutto singolarmente per contaminare successivamente il gruppo, giusto Jasmine? Giocare con i neuroni è il segreto e Jasmine, ha trovato la chiave senza parole. Tacere diventa significativo quando si è assolutamente in grado di parlare, ma si sceglie di non farlo. Non per negare la comunicazione, ma per espanderla. Non per sottostare passivamente a tabù o imposizioni esterne, semmai per aggirarli e obbedire al principio di efficacia. La speranza è che in questo calcio, che sembra sempre più un’opera di astrattismo puro, bisognosa di critici ed opinionisti d’arte, per farti passare come ignorante e inadeguato, non si dimentichi la vicinanza del quotidiano, del giocare per strada, sporcarsi con la vita, praticare il cosiddetto “off pitch”, e la distanza del mito. La vicinanza commuove e la distanza meraviglia. Jasmine Paolini ha centrato in pieno le coordinate spaziotemporali. Perché il gioco di posizione libera i calciatori, ma esistono almeno due tipi di libertà, secondo lo scrittore Julio Cortazar: una, che non serve a nessuno, in cui ognuno è libero di fare ciò che vuole; e un’altra, che consiste nel fare ciò che si deve.

La nostra nazionale rispecchia un presente con poco talento, contributo di forze extracomunitarie pressoché assente (a differenza di tutte le altre nazionali), tanti maestri di metodologia, troppi faccendieri e un sistema che frena la valorizzazione dei giovani meritevoli.Luciano Spalletti ha soltanto il demerito di ritrovarsi in balia di questi correnti avverse, senza avere affinato negli anni armi diplomatiche, ma aver invece alimentato ulteriormente una certa “pedanteria pedagogica”. Il CT azzurro si è perso, ha seguito esclusivamente la sua mappa stabilita che non potrà mai sostituire il contatto con il territorio. La mappa mi fa andare in porta, ma non mi dice quando accelerare, quando frenare, cambiare direzione, non mi dice come arrivarci in quella porta. Ciò che conta è il rapporto spazio e tempo, e Spalletti ha avuto poco tempo e troppo spazio. Ci vuole tempo per costruire un linguaggio comune, che non sia del tutto o sempre cosciente, perché si raggiunga la comprensione, in cui il silenzio è d’oro e la parola d’argento. Spalletti dopo il tricolore trionfale con il Napoli è stato tacciato di incompetenza, presunzione, arroganza. Dire tutto “senza giri di parole” ha anche implicazioni comiche. Massimo Troisi in Pensavo fosse amore e invece era un calesse (1991), quando gli amici gli rivelano che la donna che ama si è fidanzata con Enea, reagisce: “Ma come? Queste cose si dicono alle spalle. Che cosa vi ho fatto di male per meritarmi tutta questa sincerità?”. Anche Spalletti ha diritto al silenzio, al velamento anziché al disvelamento, a essere (nel più classico copione) l’ultimo (e mai il primo) a sapere.

Il silenzio funzionale della stampa e detrattori di mestiere, contribuirebbe a creare una situazione aperta, proprio come nel gioco di posizione, per lasciare affiorare i contenuti inconsci di questa annunciata debacle nostrana, che viene da lontano, in questo caso, dal profondo. C’è un claustrofobico spettacolo di Peter Brook, intitolato “Je suis un phénomène”, che ricostruisce la storia di un uomo incapace di dimenticare alcunché. Una vita schiacciata da se stessa e dal filo ininterrotto dei dettagli e delle esperienze. Con Marc Augé si potrebbe sostenere che dimenticare ha la funzione di farci vivere il tempo, è la forza viva della memoria, la nostra risorsa per valorizzare il passato, cogliere il presente, gustare l’attesa del futuro. C’è dunque un tempo per parlare e un tempo per tacere, così come c’è un momento per ricordare e uno per dimenticare: l’alternarsi di pieni e di vuoti è vitale. Proprio dal tennis eroico, che non ti aspetti, arriva la lezione dal “carotino” dell’estremo nord Italia, quasi Austria, capace di vincere senza mai fare spallucce, e dalla trottola toscana, dai tratti africani, con il sorriso di conquista, ancora capace di aprire il dialogo tra antico e contemporaneo, di abbattere ogni confine, proprio come riusciva a Bill Viola, scomparso pochi giorni fa a 73 anni, maestro della videoarte e fautore di quella terra promessa espressa nel “Rinascimento elettronico”. Quel tennis, di Jasmine e Jannik potrebbe omaggiare “noi”, ostaggi dello sport più viziato del pianeta, di questo dono: l’idea di un ritmo non solo poetico ma salvifico, perché mosso, capace di fondere punte di densità a vacanze di impegno, dejà vu e novità, ricordi e spazi inesplorati, o solo dimenticati e ripercorsi.

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