Era mio figlio, di Savi Gabizon

Remake di Longing realizzato dallo stesso regista israeliano, un film sull’elaborazione del lutto e sui fantasmi del passato più riuscito nella parte realistica/emozionale che in quella onirica.

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BANDO BORSE DI STUDIO IN CRITICA, SCENEGGIATURA, FILMMAKING

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Un ponte su un fiume. È lì dove è successo l’incidente in cui è morto Allen, un ragazzo di 19 anni. Dopo la sua morte la madre, una donna canadese, decide di incontrare la persona con cui ha avuto il figlio e che fino a quel momento è stata all’oscuro di tutto. Si tratta di Daniel, un ricco uomo d’affari newyorkese che resta sconvolto dalla notizia. Cerca così di scoprire il maggior numero di notizie possibili sul ragazzo e parte per il luogo dove il ragazzo è cresciuto. Ed è proprio dai luoghi che il cineasta israeliano Savi Gabizon ricostruisce il passato di Allen proprio davanti gli occhi di Daniel. C’è innanzitutto proprio quel ponte sul fiume, poi il cimitero, il muro del college dove c’è una scritta del ragazzo dedicata all’insegnante di francese per cui aveva perso la testa e che ha causato la sua espulsione dalla scuola perché troppo volgare e poi la panchina davanti alla casa dove abita la professoressa. Gabizon realizza il remake della versione israeliana del suo stesso film, Longing, realizzato nel 2017 che ha ricevuto il Premio del pubblico ai Venice Days alla Mostra del Cinema di Venezia e si affida soprattutto alla sua scrittura per ricreare l’atmosfera di un film sull’elaborazione del lutto e popolato da fantasmi. Se la parte realistica ed emozionale funziona meglio – e in tutta la prima parte Era mio figlio riesce a mostrare un dolore sommerso – risultano invece decisamente più forzati gli inserti onirici, a cominciare dal sogno felliniano con la figura nuda gigantesca dell’insegnante per proseguire con le apparizioni di Allen. Tra queste riesce ad essere efficace solo quella in cui padre e figlio suonano il pianoforte nell’hotel e poi, dopo uno stacco, si vede l’uomo da solo richiamato dalla direzione dell’albergo.

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Tuttavia Era mio figlio mantiene sottotraccia una sua inquietudine soprattutto quando riesce a sbrogliare quel cinema di parola che rischia di essere ingombrante. Si vede nel modo in cui emerge il ritratto in chiaroscuro del ragazzo dalle testimonianze degli altri personaggi, a cominciare dall’insegnante di francese, fino al serrato confronto con i genitori della sua fidanzata che è forse una delle scene più incalzanti del film per il modo in cui è spietata e non concede nessuna speranza, così come quella in classe in cui Daniel racconta il suo tormentato rapporto col padre. Sotto questo aspetto Gabizon poteva affondare il colpo. Preferisce invece tenersi in superficie, cercando le corrispondenze di quel cinema emozionale la cui intensità va a intermittenza. Se Richard Gere trova la chiave giusta per affrontare il percorso tormentato del suo personaggio ma guarda comunque al futuro proprio come Fabrice Luchini in La petite di Guillaume Nicloux, gli altri personaggi invece non hanno lo sviluppo che meritavano a cominciare da Diane Kruger che esce dalla storia con eccessiva rapidità. Era mio figlio va alla continua ricerca del tono giusto. A volte lo trova quando è più introspettivo, invece forza la mano quando rivela con troppe parole quello che i silenzi e gli sguardi da soli potevano accennare.

 

Titolo originale: Longing
Regia: Savi Gabizon
Interpreti: Richard Gere, Diane Kruger, Suzanne Clément, Marnie McPhail, Shauna Macdonald, Jessica Clement, Tomaso Sanelli, Gordon Fulton, Wayne Burns, Stuart Hughes, Christina Song, Kevin Hanchard
Distribuzione: Lucky Red
Durata: 111′
Origine: USA, 2024

 

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
2.8
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Il voto dei lettori
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