Animaphix 2024 – La retrospettiva di Theodore Ushev

Sguardo politico ed esistenzialista, stile pittorico dinamico, in continua mutazione, ed uno speciale rapporto con la musica. La sintesi di un’artista eclettico e fantasioso omaggiato dal festival

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BANDO BORSE DI STUDIO IN CRITICA, SCENEGGIATURA, FILMMAKING

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Theodore Ushev è l’artista a cui il festival Animaphix ha deciso di dedicare la retrospettiva per l’edizione 2024, in corso fino al 28 luglio a Bagheria.
Nato in Bulgaria, naturalizzato canadese, il lavoro di Ushev è un trionfo di ars combinatoria, unisce lo stile pittorico ed i linguaggi del contemporaneo, l’ossessione per la velocità, il continuo naufragare della memoria in un vortice liquido di pensieri. Mischia le immagini ai rumori, e dai suoni e dalle voci si origina un insieme nervoso, si direbbe istintivo, spinto ad una metamorfosi di continuo divenire. Les journaux de Lipsett (Lipsett diary), è una non biografia su Arthur Lipsett, regista morto suicida nel 1986, che si descriveva come neither underground nor conventional (né sotterraneo né convenzionale), ha delle influenze dirette con il mondo impressionista e tinte di esistenzialismo baconiano, per limitarsi ad alcune immediate correnti pittoriche a cui il flusso rimanda, frenetica sintesi di una vita. Diario inconscio di un’oltretomba terreno, l’anima lacerata dall’incomprensione, è costruito sull’isolamento, a partire dai ricordi dell’infanzia e la perdita di contatto con un mondo sempre più distante. Ushev si avvale in questo progetto di una collaborazione prestigiosa come quella di Xavier Dolan, che per l’occasione diventa narratore. Il pubblico riconoscimento, gli applausi e le risate diventano atto unico di scherno dentro una paranoia infestante, diagnosticata ma impossibile da fermare. Fatto di indizi e presagi, nelle ombre trova le tracce di un destino fatto di fragilità e di paure, aiuta a leggere i segni di quel bisogno di trovare un rifugio nella solitudine e spinge la mente al di là di una linea fittizia, in un territorio che vacilla, percossa dagli incubi. Gravato da una fine prematura, riesce comunque a guardare con dolcezza la presenza di una madre, la scuola ed i pochi amici, prima di naufragare nel mare tormentato delle aspettative.

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Arte, politica, filosofia, storia, materia, solitudine, l’opera del maestro è gravida di memoria, guarda al passato e raccoglie l’auspicio funesto dei pensatori radicali, i mai dimenticati profeti del disastro dei tempi moderni, gli illuminati di Francoforte, e la proietta sulle figure dei braccianti e dei metalmeccanici sfruttati dentro una fabbrica. Offre una rilettura visiva supersonica dei cambiamenti nella società e di quei movimenti che hanno indirizzato le masse, per poi tradirle o abbandonarle secondo le logiche spietate del potere. Tower Bawher è un’apoteosi dinamica e formale, elaborato dai concetti del costruttivismo russo, replicante ironico e fantastico, pieno di linee numeri ed automi marcianti, omaggio rivoluzionario ad un movimento intenzionato a sovvertire con la sue vitalità, con le energie sprigionate dall’onda proletaria, i confini stagnanti del mondo borghese. Di quel movimento ritrova il ritmo convulso, la furia del montaggio adagiata sulle note di un cambiamento espresso dal fermento di una speranza, e finisce in una sorta di rigorismo astratto. Gloria Victoria comincia invece il suo percorso dal fumo e dalla cenere per raccontare metaforicamente del potere, di quel sangue versato sull’altare delle ideologie del secolo breve, destinate a crollare sotto il peso dei morti. Le impronte sul terreno sono quelle degli eserciti, marionette obbedienti, truppe reclutate tra il popolo e gettate nelle trincee, massacrate prima che dai colpi dei mortai dall’ottusità dei generali e dalla propaganda della guerra, con promesse di trionfo e progresso, ulteriore passo avanti verso l’alienazione del disumano. Nello scenario di una catastrofe di cui si sono ignorati i segnali, il fanatismo nascosto dai vessilli, i sacrifici del piano quinquennale, l’economia di guerra, il cortometraggio compie un excursus storico nei luoghi simbolo dell’orrore, dove sono germogliati i frutti fatali del disastro. Drux Flux è ispirato al libro di Marcuse L’uomo ad una dimensione. La voragine dove cadono le immagini è un vuoto fatto di rotative e capannoni e altoforni, composto di fotografie che spaziano da est ad ovest nel processo di sviluppo industriale. Sullo sfondo meccanico di una macchina insaziabile l’uomo metafisico immaginato da De Chirico crolla a terra, ormai privo di ogni possibilità di trascendenza, anche se alla fine dell’orgia materialistica le parole di Walter Benjamin risuonano per il mondo operaio abbandonato al suo destino: Solo per chi è senza speranza c’è data la speranza.

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3e page après le soleil è un esperimento di action painting, costruito con su una successione di pagine sporcate di vernice rossa. Anche qui la musica è una colonna portante, e sopra quell’architrave l’avvicendamento repentino crea un maelström pollockiano. Astratto e vivace, le interpretazioni si fanno liquide, toccano le corde della percezione, catturano ed orientano gli umori, sfiorano la tragedia ma coltivano un sogno indistinto nella poltiglia, fertile dei colori confusi e caotici di un percorso che unisce gli antipodi della fantasia. La fisica della pena (The physics of sorrow) è probabilmente il suo lavoro più personale. Un progetto fatto di tappe, l’infanzia in campagna, il primo amore per una giovane acrobata del circo, la dolorosa separazione, una storia di momenti e primi baci, di corse in bicicletta, e poi la brusca scoperta della morte. Un diario impressionista, raccontato con l’ausilio di una voce narrante descrittiva delle emozioni e degli ambienti attraversati, che dalla Bulgaria arrivano fino in Canada, terra di adozione dell’artista.  L’occasione di riflettere durante il viaggio, decifrare i pensieri vaganti, sulla ricerca di un luogo da chiamare casa, mentre affiora la tristezza per un pianeta che si avvicina alla fine, ed il nastro riavvolge un ultimo respiro prima della scomparsa. Poetico, malinconico e con qualche punta di angoscia, la consapevolezza di un destino ineluttabile.

Un altro geniale progetto è Demoni, dove grazie all’uso di 50 vinili dipinti sulla superficie viene inscenata una agglomerato di forme, e l’universo bizzarro sembra omaggiare, con il suo ingranaggio basilare, l’opera pioneristica di Muybridge in chiave surrealista. I continui cambi di direzione nei piccoli scatti disarmonici del tango rendono la scena animata, e trasformano uomini e bestie in un unico diabolico gruppo danzante. La radice surrealista è protagonista anche di un altro cortometraggio, Sonnambulo, dove il movimento percuote lo spazio per rappresentare con grande libertà espressiva Romance Sonnambulo di Federico García Lorca, e le ondulazioni dei versi del poeta spagnolo diventano il punto di partenza per un film gioioso, e vincitore, come gli altri, di premi in giro per il mondo. Usignoli a Dicembre (Nightingales in December) si apre con una citazione di Thomas Stearns Eliot, In my beginning is my end. Now the light falls (Nel mio inizio è la mia fine. Ora la luce cade). Il canto ora è un allegoria disperata nel quale gli uccelli assumono sembianze umane, un altro progetto contraddistinto dalla rapidità e dalla mutazione, e dalla fusione degli sguardi spinge le immagini in direzione celebrativa, sciogliendo le note in mezzo ai colori che annunciano l’inverno.

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