La bicicletta di Bartali, di Enrico Paolantonio

Connota l’atto sportivo di un valore catartico, come se le gare, e il ricordo dell’iconico ciclista, fungessero da antidoti alle disuguaglianze del presente. A volte però rischia di diventare retorico

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BANDO BORSE DI STUDIO IN CRITICA, SCENEGGIATURA, FILMMAKING

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La bicicletta di Bartali non è solo l’elemento iconografico che dà il titolo al film: è il veicolo di passaggio di tutte le istanze del racconto; lo sfondo su cui il lungometraggio staglia ogni riflessione (narrativa, tematica o simbolica) che attraversa i suoi spazi. Perché il mezzo che ha reso grande il ciclista toscano, e che gli ha consentito di trascendere il “mero” livello di sportivo, per diventare una vera icona del (suo) tempo, è sì l’espediente da cui si rinfrange la storia e l’amicizia dei due giovani protagonisti: ma soprattutto è il catalizzatore che mette in moto i valori formativi dello sport, da intendere qui come unici antidoti alle divergenze che dominano la sfera socio-politica in cui si muovono i personaggi.

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David ed Ibrahim appartengono, di fatto, a due universi opposti, nonostante vivano entrambi a Gerusalemme. L’uno è un ragazzo ebreo di origine italiana, il cui nonno ha coadiuvato Gino Bartali in una delle sue missioni oltranziste, mentre il secondo è arabo, ed è dotato di un talento innato per il ciclismo. Entrambi vogliono trionfare nella gara locale organizzata dalla comunità cittadina, ma la complicità che progressivamente si viene a formare tra i due viene ostacolata dall’incursione della Storia (quella con la S maiuscola) nelle loro vite. Un assunto che La bicicletta di Bartali declina secondo più piani temporali: quasi a voler connettere gli eroismi del passato (cioè quelli con cui il leggendario ciclista toscano ha salvato centinaia di ebrei dalla persecuzione nazifascista) alle azioni edificanti di due giovani ragazzi, costretti a seppellire sotto il manto del silenzio l’amicizia che li unisce, pur di non soccombere ai canoni culturali del mondo in cui (soprav)vivono.

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Ecco allora che la storia dell’iconico campione delinea sì lo fondo storico da cui parte il racconto, ma ne rappresenta la base filosofica da cui La bicicletta di Bartali trae ogni sua riflessione. In tal senso, gli innumerevoli viaggi con cui in tempi di guerra il ciclista ha trasportato, da Cortona ad Assisi, numerosi passaporti falsi al fine di assicurare la salvezza di centinaia di ebrei (se ne contano circa 800) diventano qui il contraltare delle traiettorie narrative di David ed Ibrahim: la cassa di risonanza delle loro fantasie d’amicizia, e della necessità, dei due aspiranti corridori, di trovare nello sport lo strumento con cui attivare una connessione umana ancora più profonda, ed abbattere così le barriere del pregiudizio.

 

Se La bicicletta di Bartali mette in campo, anche con coerenza e coesione, queste sue connessioni metaforiche, che innervano di per sé l’atto sportivo di un valore catartico oltre che narrativo, è pur vero che il film manca spesso di coraggio, quasi gli bastasse accennare al tema delle (tragiche) disuguaglianze politiche che stanno incrementando la spirale di odio nel paese mediorientale, senza però indagarle nel profondo. A volte, infatti, si ha la sensazione che il lungometraggio si crogioli fin troppo nell’allegoria o nella retorica, anche in faccia ad una capacità evidente del film d’animazione nel giocare con i vari livelli della storia (sia diegetica che extra-diegetica) fino ad offrire, sotto il segno della solidarietà sportiva, una visione di speranza per il (grigio) futuro della nazione.

Regia: Enrico Paolantonio
Voci: Tullio Solenghi, Augusto Di Bono, Bianca Donati, Caterina Rochira, Dario Persico, Elda Olivieri, Federico Viola, Gianluca Iacono, Gianni Quillico, Jacopo Cioni, Luca Bottale, Luca Ghignone, Matteo Garofalo, Oliviero Corbetta, Riccardo Rovatti, Sebastiano Tamburini
Distribuzione: Lynx Multimedia Factory
Durata: 80′
Origine: Italia, India, Irlanda, 2024

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
2.8
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Il voto dei lettori
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