L’occhio della gallina. Autoritratto di Antonietta De Lillo, di Antonietta De Lillo

Un documentario-indagine che non scade mai nella scontatezza e che guarda al passato per raccontare un’ingiustizia subita. VENEZIA81. Giornate degli Autori. Notti Veneziane.

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A riconferma dell’indole vesuviana che guida lo sguardo di un’autrice come Antonietta De Lillo c’è questo gioco di sostituzione con la gallina; simbolo di ironia, senza dubbio, ma anche elemento cardine di questo suo ultimo documentario. La regista napoletana ci introduce nel suo studio-laboratorio, da dove parte il racconto di un’ingiustizia subita, nel quale naviga il pennuto che tramite il montaggio assume una certa centralità. Spiega  De Lillo nel corso de L’Occhio della gallina che il funzionamento dell’occhio – appunto – dell’animale funziona al contrario: la pupilla si chiude dal basso, e proprio qui sta il fascino che l’ha condotta all’accostamento col sistema industriale cinematografico italiano, lo stesso che l’ha esclusa e ingabbiata, portata a margine, proprio nel momento in cui la regista confeziona il suo film migliore. Era il 2004 e a Venezia veniva presentato Il resto di niente e di lì a poco tutto sarebbe precipitato disastrosamente. Questo documentario funge proprio da memorandum, nei riguardi della carriera della cineasta ma anche nei confronti di un sistema che forse non è così sano come vorrebbe fare intendere. Ne L’Occhio della gallina viene ribadita l’importanza della ricostruzione cronologica degli eventi, in tutta la minuziosità possibile. E quindi: 

Nata nel 1960 a Napoli, Antonietta De Lillo inizia la sua carriera da fotoreporter per diversi quotidiani e settimanali. Il suo esordio, avvenuto nel 1986, è Una casa in bilico realizzato a quattro mani con Giorgio Magliulo – il film è vincitore del Nastro d’Argento per l’opera prima. La collaborazione con Magliulo poi continua anche nel 1990 con Matilda. Nel 1997 arriva a fare parte del film collettivo I Vesuviani. Nel 2001 dirige Non è giusto e nel 2004 Il resto di niente. Come accennato sopra, è proprio questo il film che, seppure acclamato da pubblico e critica, a causa di successive (e inspiegabili) divergenze distributive con l’Istituto Luce, la estromette definitivamente dal panorama produttivo italiano. E per quanto possa sembrare un’indagine quasi esclusivamente istituzionale, la cineasta riesce  a giostrarsi tra il suo trascorso professionale e privato – spesso e volentieri arrivando a far collidere le due parti, proprio a sottolineare il lungimirante uso delle immagini tipico di Antonietta de Lillo. 

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Seppure questo sia in tutto e per tutto un autoritratto, il documentario non scade mai nel mero autoreferenzialismo, grazie soprattutto a un respiro libero nella costruzione dell’insieme. I passaggi narrati dalla diretta interessata e dai personaggi che la circondano (le figlie, i collaboratori, gli intervistatori, gli operatori, la gallina) risultano organici e mai scontati. Il lungo dialogo con Maria de Medeiros, protagonista proprio dell’incriminato Il resto di niente si contrappone ai materiali d’archivio televisivi o festivaliero attraverso cui ci viene raccontata la carriera della cineasta napoletana. E nonostante lo stare in piedi autonomamente de L’Occhio della gallina, si percepisce comunque un senso di accogliente apertura nei confronti di quello che il futuro potrà o saprà riservare alle sorti di Antonietta De Lillo, o alla sua casa di produzione fondata nel 2010 Marechiarofilm. Perché la storia continua…

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3.2
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Il voto dei lettori
3 (2 voti)
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