The Sparrow in the Chimney, di Ramon Zürcher

Terzo capitolo che chiude un’ideale trilogia sui rapporti di forza che regolano la convivenza fra esseri umani. Parte bene ma rischia di strafare in un finale tutto fuoco e fiamme. LOCARNO77. Concorso

--------------------------------------------------------------
BANDO BORSE DI STUDIO IN CRITICA, SCENEGGIATURA, FILMMAKING

--------------------------------------------------------------

L’analisi dei rapporti di forza che regolano la convivenza fra esseri umani è da sempre un tema fondante del cinema di Ramon Zürcher, regista svizzero arrivato al suo terzo lungometraggio, il primo senza la co-regia di suo fratello Silvan.

--------------------------------------------------------------
KIM KI-DUK: LA MONOGRAFIA DEFINITIVA!

--------------------------------------------------------------

The Sparrow in the Chimney (Der Spatz im Kamin) chiude, infatti, un’ideale trilogia sulle complicate dinamiche del consorzio umano, specie se consumato all’interno di un luogo circoscritto. Una trilogia nata nel 2013 con l’opera prima The Strange Little Cat e proseguita con il secondo film del regista The Girl and the Spider (quest’ultimo premio per la miglior regia e premio FIPRESCI nella sezione Encounters alla Berlinale 2021). In entrambe le circostanze Ramon aveva condiviso oneri e onori con il fratello Silvan mentre, a questo giro, regia e sceneggiatura rimangono a suo appannaggio, con il fratello che nei crediti risulta esclusivamente come produttore del film.

----------------------------
UNICINEMA QUADRIENNALE:SCARICA LA GUIDA COMPLETA!

----------------------------

Seguendo i dettami che regolano il proprio cinema, anche per questo terzo capitolo, Zürcher posiziona la macchina da presa all’interno delle mura domestiche, dilettandosi nel raccontare, in un’atmosfera dai falsi toni fiabeschi, il mutamento repentino nei rapporti di forza in un’ideale famigliola svizzera.

Il regista decide di aprire le danze mostrandoci l’immagine di un passerotto che esce dal camino e si libera felice nel cielo. Una parabola dal dichiarato tono simbolista che rimanda alla libertà acquisita per cui i figli (e così anche i figli dei figli) lottano contro il potere esercitato dall’autorità parentale. In questo caso, l’odiata figura genitoriale è rappresentata da Karen, una donna di poche parole, ossessionata da ordine e sobrietà che impone giorno dopo giorno al marito Markus e ai suoi due figli (Johanna e Leon). I quattro vivono nell’idilliaca casetta dei genitori di lei posizionata a pochi passi dalle rive di un lago. Una terza figlia (Christina), più grande, ha deciso di andarsene di casa e per proseguire i suoi studi in una grande metropoli. Ma l’apparente status quo delle cose sta per essere rivoluzionato. Infatti, per il compleanno di Markus arriva Jule, la sorella di Karen, con la propria famiglia. I cupi ricordi della madre defunta alimentano lo spirito ribelle di Jule nei confronti dell’ordine imposto a tutti dalla sorella. E mentre la casa si riempie di vita, in Karen cresce l’agitazione. Un trauma del passato, nascosto ma per nulla dimenticato, aleggia per le stanze e si fa sempre più insistente man mano che passano le ore. Non esistono più contromisure all’inevitabile cortocircuito famigliare.

L’opera di Zürcher parte bene, intessendo un’interessante trama di sadiche relazioni e tensioni emotive tra i vari componenti delle due famiglie. Immersi in ecosistema neutro, dove tutto si trova in ordine, là dove deve stare, ciascuno di loro stenta a mantenere il controllo su stesso e a non implodere definitivamente.

Si vive in una continua società del controllo: nelle serrature delle porte non sono inserite le chiavi, nessuno è mai solo, la privacy è una pura utopia che viene raggiunta attraverso sotterfugi che solo in pochi conoscono. Ma non solo. Questa condizione travalica i bordi della cornice diegetica. In ogni scena del film il pubblico non è mai l’unico che assiste ai dialoghi o alle azioni dei personaggi. Zürcher insiste sulla presenza di astanti, dei veri e propri personaggi-spioni che, uno alla volta, replicano, anzi rubano l’unico ruolo riservato allo spettatore.

In questo piccolo cosmo dove tutto sembra statico ed incancrenito, l’arrivo di un corpo estraneo, una famiglia felice, sembra innescare un processo di metamorfosi, che ha più le dimensioni di una grande catarsi formato famiglia. È forse in questa seconda parte che Zürcher spinge troppo sul pedale dell’acceleratore, perdendosi in un finale tutto fuoco e fiamme ma fin troppo esagerato.

Rimane sullo sfondo una constatazione, in grado di collegarsi in parte ad alcuni dei titoli visionati fin qui a Locarno (Dragon Dilatation, La mort viendra ma in un certo senso anche l’italiano Luce) che parlano esplicitamente del rapporto dell’essere umano con la morte e del suo vano tentativo di allontanarla. The Sparrow in the Chimney ci mostra niente meno che la rinascita di una famiglia che era ormai perduta. Una famiglia capace finalmente, dopo anni, di bruciare metaforicamente una casa, un luogo, un trauma. Il trauma della morte.

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3
Sending
Il voto dei lettori
0 (0 voti)
----------------------------
SCUOLA DI CINEMA TRIENNALE: SCARICA LA GUIDA COMPLETA!

----------------------------

    ISCRIVITI ALLA NEWSLETTER DI SENTIERI SELVAGGI

    Le news, le recensioni, i corsi di cinema, la riviste, i libri, gli eventi e tutte le nostre iniziative