Bang Bang, di Vincent Grashaw

Un’opera sentita ed emozionate, classica nella struttura e nello stile di regia ma capace di coinvolgere e commuovere. Una grande prova di Tim Blake Nelson. LOCARNO 77. Fuori Concorso

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BANDO BORSE DI STUDIO IN CRITICA, SCENEGGIATURA, FILMMAKING

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Una delle migliori sorprese di questa 77° edizione del Locarno Film Festival arriva dalla sezione Fuori Concorso.

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Bang Bang, di Vincent Grashaw è un’opera sentita ed emozionante. Un film, tanto classico nella struttura e nello stile registico, quanto carico di emozioni e coinvolgente nella sua parabola narrativa come pochi altri hanno saputo fare in questa edizione del Festival ticinese. Un’opera che racconta della redenzione di un uomo, antieroe per eccellenza (con più di qualche reference al Jake La Motta di De Niro in Toro scatenato) interpretato magistralmente da Tim Blake Nelson, in uno dei ruoli forse meno popolari ma sicuramente più intensi di tutta la sua carriera.

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Parliamo di “Bang Bang” Rozyski, un eccentrico pugile in pensione ossessionato dai ricordi del suo passato, un tempo pieno di successi e agi, poi sprofondato nell’oblio della solitudine. Come Frankie, l’allenatore di pugilato interpretato da Clint Eastwood in quel capolavoro che è Million Dollar Baby, altra opera di imprescindibile sul tema, anche Bang Bang Rozyski vive sommerso dal senso di colpa. Non vede né sente sua figlia da anni e la sua vita piombata nell’anonimato, si trascina avanti per inerzia. L’ultima occasione per riprendersi ciò che la vita gli ha tolto ma anche per redimere se stesso, dopo un’esistenza vissuta tra errori e mancanze affettive nei confronti della sua famiglia, sembra presentarsi quasi per caso. La figlia, dopo anni,  si presenta a casa sua e gli affida per qualche tempo il nipote, un ragazzo piuttosto problematico, cresciuto senza una figura paterna e con qualche problema di alcol e droga. L’ex pugile vede negli occhi del ragazzo lo stesso sguardo affamato che aveva lui vent’anni. Eccola l’occasione giusta per il riscatto insperato. Decide di prendere il ragazzo sotto la sua custodia e lo comincia ad allenare per trasformarlo in un pugile professionista. L’epilogo sembra già scritto ma poco importa. Ciò che sorprende in positivo è il percorso, lo sviluppo drammaturgico che vivono all’interno del racconto questi due esseri umani, nonno e nipote, maestro e allievo.

Grashaw, al suo quarto lungometraggio dietro alla macchina da presa, accompagna nell’analisi di personaggi in perenne conflitto con se stessi. In ciascuno di loro risiedono sepolte, tra gli abissi dell’anima, odio e amore, senso di colpa e gratitudine. Li vediamo muoversi nel presente, ma sono tutti prigionieri del proprio passato, del rancore e del rimpianto verso ciò che sarebbe stato ma non è potuto essere né mai sarà. In questo film di piccoli e vincitori e immensi sconfitti, la maschera di Tim Blake Nelson riesce a restituire nel migliore dei modi il fragile caleidoscopio delle emozioni umane. Un uomo burbero, eccentrico, violento e attaccato ai soldi ma che nasconde un oceano di amore e premure, sepolto e represso per autodifesa nei confronti della vita. Come negli anni d’oro della sua carriera, Bang Bang Rozyski sta sempre in guardia, pronto a schivare le traiettorie di luce e d’amore che potrebbero colpirlo, facendolo stramazzare al suolo. A monte c’è l’incapacità di accettare il trauma che ha colpito suo fratello, anche lui pugile professionista, la cui vita e carriera si sono interrotte bruscamente in seguito a un incontro che gli ha procurato, non la morte, ma qualcosa che gli si avvicina. Un peso del quale sembra impossibile liberarsi. Ma un bravo pugile deve saper incassare. E allora, è necessario prenderlo quel colpo definitivo, accettarlo, gestirlo, per poter andare inesorabilmente avanti.

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
4
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Il voto dei lettori
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