Quasi a casa, di Carolina Pavone

Opera prima che racconta la giovinezza e l’ambizione artistica quasi in presa diretta, senza didascalismi e sovrastrutture. VENEZIA81. Giornate degli autori.

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Non guardare giù/Il futuro comincia lentamente/Quasi a casa. Tre capitoli. Tre tappe di un racconto di formazione al femminile per fotografare adolescenza, crisi, affermazione. La ventenne Caterina compone musica insieme al fratello, ma è profondamente insicura sul suo talento. Un giorno d’estate incontra la cantante francese Mia, da cui è ossessionata. Diventa sua amica, si trasferisce alcuni giorni nella sua villa ad assistere alle prove. Costruisce con la donna un rapporto di amore e odio. Caterina sembra aver bisogno morboso di un punto di riferimento, Mia di ferire coloro che la stanno attorno, compresa la ragazza. E così passano gli anni, con Caterina sempre in bilico tra Mia e la “sua” musica.

L’opera prima di Carolina Pavone, classe 1994 e già assistente alla regia di Nanni Moretti, qui anche produttore, racconta la giovinezza e l’ambizione artistica quasi in presa diretta, senza didascalismi e sovrastrutture. Come in un film di Olivier Assayas, la musica e i fatti della vita scorrono via velocemente tra ambiguità e trasparenza, ellissi temporali, fragilità che diventano aggressioni trattenute pronte a esplodere o a sciogliersi nel flusso dell’esistenza. Volontariamente o meno, Carolina Pavone dal grande regista francese sembra ereditare non soltanto il racconto di formazione e di redenzione all’interno dell’ambiente musicale (Désordre, Clean), ma anche il rapporto di amicizia e conflitto tra due donne, che insieme formano un doppio femminile morboso e conflittuale che in parte ricorda quello raccontato in Sils Maria

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Detto questo, Quasi a casa è un film sorprendente, capace di camminare da solo con il coraggio di immergersi nell’instabilità narrativa ed emotiva e un’enorme fiducia nei personaggi che filma e racconta. Maria Chiara Arrighini, al suo esordio al cinema, nel ruolo di Caterina è una presenza straniante, quasi androgina, acerba e complessa allo stesso tempo. Maschera della giovinezza bloccata, freezata nello sguardo e nell’incertezza evolutiva delle età di passaggio, da qualche parte tra la ragazzina e la donna, si nasconde un personaggio che la giovane attrice riesce a rendere ambiguo e “vero”, perfetta incarnazione di una generazione forse condannata a restare sempre a metà, tra il vampirismo che vuol rubare l’esperienza degli adulti e il costante senso di inadeguatezza. A lei si contrappone una Lou Doillon fisica e autodistruttiva, che a volte sembra raccontare se stessa (attrice, modella, cantante) e a tratti pare inseguire il fantasma di Béatrice Dalle. Più che un film sulla musica, con tanto di partecipazione di Francesco Bianconi dei Baustelle nel ruolo di un produttore discografico, Quasi a casa è una incursione sui conflitti generazionali tra allievo (Caterina) e maestro (Mia). E forse è anche una specie di auto-analisi – della Generazione Z come anche di Carolina Pavone giovane autrice al primo film – sull’efficacia delle ambizioni artistiche e sull’ossessione del riconoscimento nei confronti dei propri maestri. Più personale e abrasivo di quanto sembri, Quasi a casa è quindi fragile, sincero e allo stesso tempo “violento”. Si porta dietro un subconscio complesso e un’energia vitale e oscura. Qualcosa di sfuocato e indefinibile, che emerge lentamente e poi alla fine si “rivela” e si lascia andare, musicalmente e performativamente, come una jam session infinita che non vorrebbe lasciare più lo spettatore.

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3.8
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Il voto dei lettori
5 (1 voto)
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