L’invenzione di Morel, di Emidio Greco

L’opera cardine nella filmografia del cineasta italiano viene omaggiata quest’anno, in occasione del suo 50° anniversario. VENEZIA81. Giornate degli Autori. Proiezione Speciale.

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BANDO BORSE DI STUDIO IN CRITICA, SCENEGGIATURA, FILMMAKING

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Presentato cinquant’anni fa, nel 1974, alla Quinzaine des Réalisateurs del Festival di Cannes e riconosciuto come uno dei migliori esordi italiani degli anni Settanta, L’invenzione di Morel è l’opera cardine nella filmografia di Emidio Greco, cineasta raffinato nella messa in scena quanto disincantato nella stesura delle sue sceneggiature. Un intellettuale a tutto tondo, lettore accanito, che ricercava nelle immagini del suo cinema quella visione del mondo scoperta tra le pagine dei suoi romanzi prediletti. Non fa eccezione il suo esordio dietro la macchina da presa, omaggiato quest’anno, in occasione del suo cinquantesimo anniversario, dalle Giornate degli Autori durante l’81° edizione della Mostra del Cinema di Venezia, con una proiezione speciale che apre la sezione. Greco, grande estimatore della letteratura di Jorge Luis Borges, poco adatta alla trasposizione cinematografica, ritrova nel romanzo di un altro importante scrittore argentino, Adolfo Bioy Casares, la stessa folgorante visione del mondo di Borges, inserita, però, in una dimensione narrativa da cui è possibile estrapolare una sceneggiatura per il cinema. E così, il regista decide di cogliere la sfida.

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Il film, che condivide lo stesso titolo del romanzo di Casares, segue le peregrinazioni di un evaso di prigione (Giulio Brogi) approdato, in circostanze del tutto casuali, su un’isola deserta. Il naufrago, durante un’esplorazione dell’atollo, scopre un palazzo con architetture d’avanguardia apparentemente abbandonato, eppure popolato di gente, vestita come negli anni Venti, che vi conduce una vita eccentrica e dissipata. Qui rimane rapito dalla bellezza travolgente di una delle donne, Faustine (Anna Karina), la quale non sembra, però, in grado di vederlo, come se egli non esistesse. All’uomo non resta che la contemplazione di “un’immortalità meccanica” che continua a ripetersi sotto il suo sguardo incredulo.

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Per i primi trenta minuti il film non parla, è come si si facesse trasportare dalle onde del mare che si infrangono sugli scogli dell’isola. Con un ritmo lento e regolare, Greco ci mostra il carattere più contemplativo delle immagini. La combriccola di giovani borghesi traghettati in questa isola deserta è, per l’appunto, contemplata dal suo protagonista così come il pubblico contempla il rigoroso silenzio dell’isola. In questa prima parte, il tempo sembra rarefarsi, non avere più consistenza. Ma ecco che, nella seconda parte, l’indagine dell’uomo ci porta a comprendere come il tempo sia la chiave della vita stessa di soggetti e oggetti dello sguardo. Uno dei giovani borghesi, scopriamo essere uno scienziato di nome Morel. Egli ha costruito una macchina capace di “registrare il tempo”, fissando in tal modo per l’eternità una settimana di vita di alcuni suoi amici. Ed è quella settimana del luglio 1929 che il nostro naufrago va ora perpetuamente rivivendo. Registrare il tempo e ricavarne delle immagini, gli oggetti dello sguardo (di chi? Del protagonista o del pubblico in sala?) non sono nient’altro che simulacri della vita vera resi riproducibili per l’eternità. “Il cinema è un’officina di fantasmi”, Emidio Greco l’aveva capito cinquant’anni prima di Chazelle…

Ma il tema, forse, va ben oltre i labili confini del cinema. Cosa ci può dire oggi, un film come L’invenzione di Morel, forse un po’ datato nella forma, ma incredibilmente attuale nei contenuti veicolati?  Un film che, visto con gli occhi della contemporaneità, riesce a creare un gancio con il presente tra realtà virtuale, intelligenza artificiale e quell’immortalità meccanica progettata dal giovane scienziato Morel che costruisce un vero e proprio “museo delle immagini” in cui si assiste alla simulazione all’interno di un ambiente presente di un pezzo di vita passato, già morto da un pezzo. Anche perché, mentre le immagini non vanno mai in necrosi (semmai i loro supporti lo fanno), la vita che tenta ostinatamente di riprodursi in immagini, non fa altro che accelerare il proprio ineluttabile destino di morte.

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
4
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Il voto dei lettori
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