Kora, di Cláudia Varejão

Ritrae la solitudine a cui sono destinate tutte le donne in fuga dal loro paese, e con un gesto fortemente politico, le porta a riappropriarsi delle loro soggettività. VENEZIA81. Giornate degli Autori

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La femminilizzazione della memoria passa attraverso una privazione. Sembra essere questo l’assunto da cui la cineasta portoghese Cláudia Varejão parte per formulare tutte le istanze di Kora, sia dal punto di vista tematico, che puramente politico. Nel corto, incentrato sulle storie di alcune donne senza terra, rifugiatesi in Portogallo in seguito alle persecuzioni – o alle disparità culturali – a cui erano sottoposte nelle loro nazioni di provenienza, ad emergere in tutta la sua deflagrante brutalità è il dolore di persone immerse nella solitudine, la cui unica consolazione o possibilità di prendere coscienza di sé stesse è rappresentata dal sapore dolceamaro dei ricordi: qui materializzati sotto forma di fototessere, che assumono, sin dalla prima inquadratura del racconto, una valenza simbolica, e quindi politica.

Di questa manciata di donne, su cui la cineasta si sofferma nei vari segmenti del film, vediamo in realtà solo una fugace immagine, tanto che i loro volti (mai inquadrati frontalmente dalla camera) occupano il primo piano solamente quando lo sguardo della regista si poggia su queste fototessere. E il motivo dietro tale soluzione, e in cui ravvisiamo tutta la radicalità e lo spirito polemico di Kora, lo individuiamo nella volontà di Varejão di rendere protagoniste le storie di queste rifugiate: relegate, troppo a lungo, ad un ruolo di subalterne sia nelle loro vite quotidiane, sia nei territori (Afghanistan, Siria, Russia, Sudan, Egitto) in cui sono cresciute.

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È chiaro che ogni qualvolta la staticità delle fotografie soppianta la mobilità delle immagini cinematografiche, si tende a portare il pensiero a La jetée. Ma a differenza del seminale corto di Marker, qui le fototessere non occupano l’intero quadro: per nulla. Proprio perché tali strumenti grafici non sono ora funzionali a connotare di un alone di oggettività il racconto. Al contrario, assumono un valore simbolico solo in quanto tracce referenziali delle protagoniste di Kora, delle loro storie, e quindi delle soggettività che denotano. A cui Varejão dedica una potente ode celebrativa, veicolata attraverso i due piani di cui si compone un testo audiovisivo, ovvero il sonoro (certificato dalle narrazioni in voice over delle donne) e l’immagine: segno e manifesto di memorie sì frantumate, ma sempre espressione di una femminilità incontenibile, che neanche le ingiustizie societarie sono capaci di spegnere.

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3.8
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Il voto dei lettori
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