MaXXXine. Intervista esclusiva a Ti West

Abbiamo incontrato il regista a Roma in occasione dell’uscita del capitolo finale della trilogia horror con Mia Goth . Tra guanti neri di pelle, final girl e l’ Hollywood Sign

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BANDO BORSE DI STUDIO IN CRITICA, SCENEGGIATURA, FILMMAKING

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La trilogia horror di Ti West con Mia Goth come protagonista assoluta giunge al termine con MaXXXine, dal 28 agosto al cinema. Dopo gli anni Settanta di X – A Sexy Horror Story e gli anni Venti di Pearl, questo terzo capitolo è ambientato a Los Angeles a metà degli anni Ottanta. Abbiamo incontrato Ti West a Roma dove è venuto per presentare al pubblico il suo nuovo slasher movie. Il regista ci ha parlato di stile e estetica cinematografica, di guanti neri di pelle e Dario Argento, di damigelle in pericolo e di un possibile quarto capitolo.

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Un aspetto che mi ha sempre colpito di questa trilogia è l’estetica complessiva, quindi l’ambientazione, i colori, i costumi, gli oggetti di scena. X ha quell’aspetto horror anni ’70 e ’80 di La casa e Quel motel vicino alla palude, Pearl è una fiaba colorata tra Il mago di Oz e Mary Poppins. MaXXXine è ambientato in una Los Angeles oscura e lussuriosa che sembra un personaggio a sé stante. Potrebbe essere questo l’aspetto primario della trilogia? Ancor prima dello sviluppo dei personaggi, delle scene di sesso, delle scene di omicidio? È realmente così importante?

L’estetica e lo stile sono fondamentali, ma i personaggi devono essere la prima cosa. Per X. A Sexy Horror Story mostrare il lavoro reale di un filmmaker era il motivo principale per cui volevo fare MaXXXine, per questo i personaggi realizzano a loro volta un film. Volevo gli spettatori coinvolti nel film che i personaggi stanno girando per poi coinvolgerli nel film che io stavo girando. Quindi in questo senso l’estetica e lo stile complessivo erano fondamentali per creare un’unicità, non qualcosa di visto e rivisto. Quando poi siamo passati a Pearl volevo trovare un altro modo per mantenere il tema del filmmaking in relazione ai personaggi e conquistare ancora lo spettatore, perché X non aveva nulla a che fare con Pearl. Quindi il focus principale devono essere i personaggi di Maxxxine e Pearl, ma a parte questo l’estetica e lo stile sono una parte enorme della trilogia, devono elevare le interpretazioni per raggiungere qualcosa di unico.

 

Maxxxine non è la classica final girl, è forte, spietata, forse più pericolosa dei cattivi. Come nella scena del vicolo o quando picchia Kevin Bacon in macchina. Non ha bisogno di un eroe, può salvarsi da sola, come dice a un certo punto. Che tipo di eroina avevi in mente e cosa rende davvero unica Maxxxine?

Fin dal primo film l’idea è di non giudicare la protagonista ma di mostrarla solamente. Lei vuole diventare ricca e famosa, vuole cambiare la sua vita, ma di certo non vuole essere una crocerossina e aiutare il prossimo. Il film non la giudica. Solitamente questo tipo di personaggi nei film horror non riesce a sopravvivere. Con Maxxxine ho mantenuto lo stesso approccio, c’è una minaccia verso di lei, ma anche lei è una minaccia. La damigella in pericolo è qualcosa che abbiamo visto così tante volte al cinema che ha perso completamente di interesse. Quindi vedere un personaggio come Maxxxine capace di difendere se stessa anche quando la situazione si fa estremamente pericolosa credo sia più interessante. Come lo è quando si trova in una posizione in cui non riesce a farlo.

 

In Italia, quando al cinema si vedono dei guanti di pelle nera, il pensiero va immediatamente a Dario Argento. Qual è il tuo rapporto con l’horror italiano degli anni ’70 e registi come Argento, Bava e Fulci?

Certo amo quei film. Crescendo dove sono cresciuto non potevo entrare in contatto con quel cinema, non era qualcosa che passava in sala o in televisione, era difficile trovarli anche in videoteca. A quell’età i film italiani che potevo vedere erano quelli con Clint Eastwood; conoscevo il termine Spaghetti Western e mio padre li amava. Quando poi sono cresciuto e mi sono appassionato di più al mondo della regia ho iniziato a guardarmi più intorno, “chi è questo Fellini?” e così via. Mi si è aperto un mondo. Suspiria credo sia stato il primo film di Argento che ho visto, non avevo mai assistito a nulla del genere, lo stile visivo di quei film è così unico, e assolutamente non realistico, con una scelta stilistica ben precisa. I colori, la feticizzazione dei guanti di pelle, le scene di morte. Bava lo ha fatto a suo modo, Argento lo ha fatto in un altro modo, ma comunque in maniera così diversa di come si faceva negli USA. A primo impatto ero scosso, avevo scoperto un nuovo modo di intendere il cinema. Ora sono ossessionato da quel genere, e chiaramente cercare di riportare qualcosa di quello stile nella mia trilogia è stato eccitante.

 

C’è qualcosa di Mia Goth in Maxxxine? Prima di X, Mia Goth aveva lavorato con registi importanti come Trier, Denis e Guadagnino, ma mai come protagonista. Ogni attrice vuole essere la star. Hai approfittato di questo suo desiderio per disegnare il ruolo su di lei?

Non era qualcosa di previsto ma è andata proprio così. Ho scritto X e ho incontrato Mia dopo averla già apprezzata nei film che hai citato. Lei ha amato la sceneggiatura ma soprattutto era pronta a prendersi la grande responsabilità di essere la protagonista di un nuovo progetto, in quel caso addirittura due personaggi. Tutto si è allineato. Non aveva lo stesso desiderio di Maxxxine, ma ci andava molto vicino, io non sapevo tutto ciò quando ho scritto il film e non ho cambiato nulla. Un vero e proprio caso di serendipity (ride), e ha funzionato.

 

Se mai decidessi di tornare sull’universo di questa trilogia, lo faresti cambiando nuovamente periodo e atmosfera, magari gli anni ’90? Ci hai già pensato?

Non ho ancora considerato precisamente come potrebbe essere un quarto capitolo. Credo che la storia di Maxxxine sia stata raccontata. Per tornare a raccontarla dovrebbero passare molti anni, in modo da avere una prospettiva sulla vita completamente diversa, sia per me che per Mia. Fare un film sugli anni ’90 adesso sarebbe solo un esercizio di stile. Forse tra molti anni sarebbe interessante tornarci su.

 

Questo viaggio partito dall’horror anni ’70 e passato dal cinema muto anni ’20 si conclude proprio a Los Angeles, il fulcro dell’universo cinefilo che hai creato. L’insegna di Hollywood come un totem che si staglia sulla storia di Maxxxine, davvero simbolico. È un qualcosa che avevi considerato fin dall’inizio o solo nella fase di scrittura del terzo film?

Si lo avevo immaginato proprio così. Non già con X ma quando ho pensato alla trilogia. Quando abbiamo fatto Pearl ho pensato che il terzo capitolo doveva essere ambientato a Los Angeles, avevo già immaginato alcuni luoghi in cui mi sarebbe piaciuto girare. La conclusione naturale secondo me doveva essere proprio lì, come un punto di arrivo per Maxxxine e i suoi desideri. Hollywood è dove i sogni si concretizzano, ma anche il luogo dove i sogni possono morire.

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