Venezia 81 – Beetlejuice Beetlejuice. Incontro con Tim Burton e il cast

Regista e interpreti hanno raccontato alla stampa gli elementi cardine del nuovo progetto, che riporta in vita lo spirito del predecessore in un’avventura divertente e con poca CGI. Film d’apertura

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BANDO BORSE DI STUDIO IN CRITICA, SCENEGGIATURA, FILMMAKING

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Negli ultimi anni sono rimasto un po’ deluso dall’industria cinematografica in generale. E mi sono reso conto che se volevo fare qualcosa doveva venire dal cuore, una cosa che veramente volessi fare da molti anni. Quando si invecchia, la vita prende direzioni diverse da quelle previste. E forse mi ero un pochino perso anch’io. Quindi, per quanto mi riguarda, questo film è stato veramente energizzante. Mi ha ridato il senso di fare delle cose con persone che adorano fare cinema. Io devo adorare fare le cose per poterle fare bene, ma di tanto in tanto anche io mi perdo. Ora, però, credo di essermi ritrovato“.

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Con queste parole si è aperta la conferenza stampa con cui Tim Burton, presente al Lido di Venezia in occasione dell’81esima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica, ha iniziato a raccontare di Beetlejuice Beetlejuice, nuovo progetto del regista selezionato come film d’apertura del Festival, che può contare su un grande cast composto da Monica Bellucci, Winona Ryder, Justin Theroux, Jenna Ortega, Michael Keaton e WIllem Dafoe.

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Proprio sul piacere di fare parte di questo considerevole roster di interpreti si sono soffermate sia Bellucci che Ortega. “Per me è stato veramente un grande onore essere parte di questo cast, di far parte del mondo di Tim”, ha dichiarato infatti Bellucci. “Tim è un artista, è un regista, un cineasta, che è in grado di creare situazioni fantastiche, spaventose, divertenti. E questo mi ha aiutato nel creare questo mio mostro, questa creatura, Delores, che io adoro nella sua dualità. Perché è cattiva da un lato, ma allo stesso tempo affascina e riesce ad essere una metafora della vita. Perché tutti noi abbiamo delle cicatrici emotive”. Dichiarazioni al miele a cui hanno fatto poi eco quelle della giovane Mercoledì Addams, dettasi “veramente molto felice di essere parte del cast”. È stato bellissimo anche perché avevo già un rapporto lavorativo con Tim. Io mi fido di Tim, mi è piaciuto moltissimo lavorare con lui. Ho poi cercato di osservare il personaggio di Winona per creare il mio personaggio e renderlo veramente unico. Un personaggio determinato che sa bene chi è. La cui rabbia viene da un luogo diverso rispetto a quello da cui veniva quella del personaggio di Winona. Ecco, una delle cose molto belle di questo film è il modo in cui questi personaggi evolvono in modo organico negli anni”.

D’altra parte, invecchiare è inevitabile; e Winona Ryder lo ammette senza troppi problemi, rendendolo anzi un punto di forza della narrazione: “Non posso negare il fatto di essere invecchiata. Bisogna semplicemente accettarlo. Sono felice di essere viva e di aver potuto fare parte di questo cast. Ne abbiamo discusso molto e abbiamo semplicemente esplorato il fatto che Lydia sia in una nuova fase. E questo in qualche modo ci ha dato la direzione giusta”.

Direzione che, tra l’altro, ha permesso a Tim Burton di lavorare con vecchi amici e, al contempo, integrarne di nuovi: “Conoscevo Michael e Winona, ma non conoscevo particolarmente tutte le altre persone. Di sicuro apprezzavo il loro lavoro, e posso dire che lavorare con loro è stato speciale, proprio perché si sono uniti perfettamente alla famiglia, e ogni giorno sono riusciti a regalare qualcosa di nuovo al set, a regalare le loro idee”. Anche perché, sottolinea il regista, “non volevo che fosse un sequel fatto per denaro. L’ho fatto veramente per motivi molto personali”.

“Il film”, racconta tra l’altro Burton “è stato girato seguendo lo spirito del primo. La sceneggiatura era fantastica, ma ognuno ha contribuito al proprio personaggio. Abbiamo lavorato improvvisando molto e questo dà una grande energia. Abbiamo girato molto rapidamente e abbiamo giocato molto sia con il cast che con gli attori e la musica.
Abbiamo anche creato quelle cose che normalmente richiedono mesi per essere costruite. Ad esempio compravamo una bambola da un negozio di giocattoli, tiravamo via i capelli e creavamo quello che volevamo per il film. Questo ci ha dato un’energia particolare. L’ha reso anche molto personale. Tutti hanno contribuito. E l’uso degli effetti speciali molto pratici, senza utilizzare CGI, fa parte del DNA del progetto. Così che le persone potessero veramente vedere le cose che stavano affrontando e non semplicemente immaginarle”.

Un progetto che, nella sequenza in cui tutti recitano in italiano, ha perfino realizzato un vecchio sogno del regista – “Ho sempre voluto fare un film horror in italiano. Sono sicuramente un fan di Mario Bava, di Dario Argento, di tutti questi registi, e quindi sì, sebbene io non sia  regista italiano di film horror, mi piacerebbe molto esserlo”. E che, afferma Bellucci, “parla anche delle donne, ci sono tre generazioni di donne in questo film, e si amano, si supportano, anche quando in realtà litigano e sono in contrasto. E credo che il film, da questo punto di vista, esca in un momento molto importante”.

A chi invece chiede di un eventuale terzo capitolo, il regista risponde così: “Ci abbiamo messo 35 anni a fare questo; quindi diciamo che se ce ne voglio altri 30 avrei più di 100 anni. Potrebbe essere possibile forse grazie alle scienze mediche, ma no, in tutta onestà non penso proprio”.

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