Riefenstahl, di Andres Veiel

Un doc impietoso sulla regista del nazismo e sulla eredità fatta di manipolazioni, di pericolosi legami tra bellezza e superiorità che forse ancora non sappiamo affrontare. VENEZIA81. Fuori Concorso.

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Ho ripreso solamente le parti positive del nazismo”, sostiene Leni Riefenstahl in un’intervista. Nel mentre, scorrono le immagini de La vittoria della fede del 1933, film di propaganda legato al raduno di Norimberga. Davanti a migliaia di persone schierate, Hitler viene dichiarato garante della pace. “Non ho mai ripreso nulla riguardo alla teoria della razza”, continua Riefenstahl. Uno stacco e l’uomo davanti alla folla è cambiato, ma non l’inquadratura, sempre dal basso verso l’alto, come farsi dominare dal breve discorso: “Se la Germania non difenderà la razza, sarà perduta!”, urla prima di tendere il braccio. Riefenstahl, il documentario di Andres Veiel presentato Fuori Concorso a Venezia 81, si gioca quasi interamente su questa dinamica di smentita. Perché se è vero che il suo soggetto è ricordato come la “regista del nazismo”, solo da poco si sono cominciate a rivalutare le responsabilità della regista nata nel 1902 e morta nel 2003. Ed è proprio ciò che Leni Riefenstahl voleva.

Dopo un lungo silenzio nell’immediato secondo dopoguerra, Riefenstahl ha infatti avviato dagli anni ’60 un’opera certosina (e ossessiva) di riscrittura del proprio passato. A suon di interviste, talk show e memorie scritte, la regista ha cercato in tutti i modi di emendare il suo coinvolgimento con il regime nazista, di presentarsi come la martire del popolo tedesco. Veiel, accedendo a una mole di materiale enorme (compreso l’archivio privato di Riefenstahl), opera un continuo controcanto, di continuo debunking delle sue fake news. Le menzogne della regista vengono smascherate una dopo l’altra, ma anche inseguite verso la fonte da cui sgorga la melma. Si arriva fino all’infanzia di Riefenstahl, a un padre che la getta in acqua, rischiando di farla annegare, per insegnarle a nuotare e a una madre che le intima sempre di non mollare, di non mostrarsi debole, di insistere fino al successo, costi quel che costi.

Centenaria, al centro dell’ennesima intervista, Leni Riefenstahl si siede su una sedia in giardino, davanti alla macchina da presa, che i suoi occhi non riescono più nemmeno a identificare. Prende in mano uno specchio. Dà indicazioni su dove posizionare le luci per coprirle delle rughe. C’è un che di impietoso in quest’inquadratura rubata, scartata, ma accolta da un archivio che, come dichiarato dallo stesso Veiel, non può mentire. Ecco, allora, che viene puntato il dito alla viva eredità della regista del nazismo, che continua a serpeggiare attorno a noi e che, probabilmente, non abbiamo ancora imparato ad affrontare.

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