Venezia 81 – The Brutalist. Incontro con Brady Corbet e il cast

Brady Corbet presenta in conferenza stampa il suo ambizioso lungometraggio, dedicato agli artisti messi in ombra dalle guerre. In concorso a Venezia 81.

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Il regista e attore statunitense Brady Corbet ha presentato oggi, in conferenza stampa assieme al cast, il suo ultimo film intitolato The Brutalist, in concorso a Venezia 81. Si tratta del terzo lungometraggio girato da Corbet e della sua terza partecipazione alla Mostra del Cinema di Venezia: i suoi due film precedenti (L’Infanzia di un Capo e Vox Lux) erano infatti passati entrambi nelle precedenti edizioni del festival, confermando il rapporto solidale del regista americano con la kermesse veneziana.

Incentrato sulla figura di László Tóth (Adrien Brody), architetto ungherese che nel 1947 decide di lasciare il suo paese per rifarsi una vita negli Stati Uniti insieme alla moglie Erzsébet (Felicity Jones), The Brutalist si presenta fin da subito come un’opera molto ambiziosa a partire dalla sua durata (215 minuti) e dalla scelta, da parte dello stesso Corbet, di girarlo interamente su pellicola 70mm.

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In relazione a queste scelte artistiche molto forti, vengono fatte le prime domande al regista, che risponde: “Non esiste una “confezione” migliore per il proprio lavoro, credo che sia abbastanza stupido valutare un’opera dalla sua durata. In vita mia ho letto delle fantastiche novelle così come dei bellissimi romanzi, non c’è una durata che fa sì che il film sia migliore o peggiore. Per quanto riguarda poi la scelta del 70mm, volevo far sì che il film fosse il più fedele possibile al periodo in cui è ambientato, perciò utilizzare un formato che era stato progettato originariamente negli anni ’50 mi sembrava la scelta migliore che potessi fare”. Corbet trova anche il tempo per citare il collega Harmony Korine, presente anch’esso alla Mostra quest’anno: “Una volta lui (Korine) ha detto che il cinema è ancora bloccato nel suo “canale del parto” e che noi artisti abbiamo il compito di farlo uscire, mi trovo pienamente d’accordo con lui”.

Riguardo l’ispirazione principale per il film, in particolare per la scrittura del protagonista interpretato da Adrien Brody, presente anch’esso in sala, Corbet afferma: “In questi ultimi anni ho avuto uno scambio di opinioni con un architetto che io ammiro molto, ovvero Jean-Louis Cohen, venuto tristemente a mancare poco tempo fa. Lui scrisse un libro sull’architettura del secondo dopoguerra intitolato “Architecture in Uniform”, da cui il film prende parzialmente spunto soprattutto per quanto riguarda le scenografie. Io gli chiesi se ci fosse mai stato qualche architetto che era riuscito a scappare dall’inferno della guerra in Europa per rifugiarsi negli USA, ma mi rispose che non c’era mai stato un personaggio capace di fare ciò. Io trovai la cosa molto inquietante, poiché ci sono stati così tanti artisti al di fuori della Bauhaus pieni di talento e di idee, di cui non siamo mai riusciti a vedere realizzate le loro opere, e così ho deciso di fare un film dedicandolo proprio a questi artisti, di cui László rappresenta, idealmente, la personificazione.

Successivamente, Adrien Brody parla della sua “connessione” con il personaggio da lui interpretato, fornendo agli intervistatori un interessante retroscena sul suo background personale: “Ho subito trovato familiarità con il personaggio, poiché essendo io stesso figlio di una madre (Sylvia Plachy, nota fotografa ungherese-americana) che ha lasciato il suo paese natale per vivere negli Stati Uniti da rifugiata come lui, ho immediatamente visto dei parallelismi tra le opere di mia madre e quelle di Lászlo, perché il clima della guerra si ripercuote su tutta l’opera di un’artista. Siccome trovo che sia molto importante entrare in sintonia con il proprio personaggio, questa cosa mi ha decisamente aiutato nell’interpretazione del ruolo”.

C’è stato anche spazio per discutere delle influenze (sia artistiche che cinematografiche) maggiori, riferendosi in particolare alle scenografie e ai movimenti degli attori: “Judy Becker, la nostra scenografa, che ha già lavorato a film quali Carol, I Segreti di Brokeback Mountain, Io non sono qui, e tanti altri, è semplicemente geniale. Con un budget – purtroppo – limitato è riuscita a tirare fuori delle idee formidabili, ispirandosi talvolta alle opere di artisti quali Edward Hopper. Abbiamo poi preso tanti riferimenti provenienti dal cinema del passato, ad esempio per le coreografie ci siamo ispirati a Nodo alla Gola di Hitchcock”.

Infine, Corbet spende qualche parola sui registi con cui ha lavorato come attore nel corso degli anni, evidenziando le similitudini tra il suo percorso artistico e quello dei suoi maestri: “Ho avuto la possibilità di lavorare con tanti grandi registi (Haneke, Assayas, Von Trier), cercando di imparare da loro il più possibile, ma la cosa che penso mi accomuni di più con questi autori, è il fatto che tutti abbiano dovuto soffrire molto in alcune fasi della loro carriera, arrivando talvolta a pagare a caro prezzo le conseguenze delle loro decisioni”.

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