Don’t Cry, Butterfly, di Dương Diệu Linh

Tra le crepe di una famiglia penetra il mostro dell’incomunicabilità, di cui lo stesso film rimane ostaggio. Il silenzio regna sovrano. VENEZIA81. Settimana della Critica.

-------------------------------------------------------
LA SCUOLA DI DOCUMENTARIO DI SENTIERI SELVAGGI

-------------------------------------------------------

Davanti a un enorme schermo LED, due sposini provano la marcia nuziale. Davanti a loro c’è Tam, signora di mezz’età dallo sguardo spento tra le protagoniste di Don’t Cry, Butterfly, presentato alla Settimana Internazionale della Critica di Venezia81. “Più piano, così le foto verranno bene”. Mostra loro con che espressione dovranno rivolgersi verso gli invitati, ma il sveste velocemente quel sorriso confezionato. L’apatia la insegue anche sul motorino col quale si districa tra i tifosi che guardano la nazionale del Vietnam in televisione. Fino a quando non incrocia sua figlia, Ha. La ferma, le mostra qualcosa al telefono. La sua espressione da vuota diventa un abisso. Suo marito la sta tradendo e proprio le immagini della tv lo ritraggono sugli spalti con la sua amante. Quando lo confrontano a casa, lui non dice nemmeno una parola, tombato in un silenzio che si prolungherà per tutto il film. Eppure, in questo muro c’è un’infiltrazione, che solamente madre e figlia riescono a scorgere e dal quale penetra un mostro.

----------------------------
UNICINEMA QUADRIENNALE:SCARICA LA GUIDA COMPLETA!

----------------------------

Dal piano superiore, però, tracima davvero qualcosa o era già lì? Perché, fin dall’inizio di Don’t Cry Butterfly, c’è un abisso a separare i personaggi, incapaci di parlarsi se non lanciandosi addosso lamentele e ordini. Ognuno di loro cerca di riempire questi crepacci emotivi come può, con rituali o sogni surrogati, svuotati di qualsiasi significato: i pesci seppelliti nei vasi dei fiori, le visioni di un futuro utopico all’estero, lo scrolling compulsivo di video di influencer-santoni. Non si concedono mai la profondità e non viene mai concessa loro, anche quando la inseguono finiscono al massimo per sbucare dall’altra parte, rimanendo quindi sempre sulla soglia.

Allo stesso modo, anche la forma di Don’t Cry, Butterfly sembra rimanere sulla superficie delle sue forme, delle sue maniere di un cinema indipendente digitale che integra i nuovi media nella sua narrazione per non mostrarsi impantanato, per credersi più contemporaneo di quel che in realtà è. Il film di Dương Diệu Linh si agita sulla patina delle sue immagini senza mai comunicare con esse, senza farsi mai contagiare, senza mai tentare uno scarto che non sia estremamente calcolato. Così, il film certifica l’incomunicabilità che affligge il mondo attorno a sé e come i suoi stessi protagonisti non si accorge delle sabbie mobili nel suo stesso cuore. Nessuna comprensione sembra davvero possibile. In queste immagini e suoni ben concertate, il silenzio regna sovrano.

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
Sending
Il voto dei lettori
0 (0 voti)
----------------------------
SCUOLA DI CINEMA TRIENNALE: SCARICA LA GUIDA COMPLETA!

----------------------------

    ISCRIVITI ALLA NEWSLETTER DI SENTIERI SELVAGGI

    Le news, le recensioni, i corsi di cinema, la riviste, i libri, gli eventi e tutte le nostre iniziative