Vermiglio, di Maura Delpero

Al netto di qualche schematismo, un film sincero e onesto con i suoi spettatori confermando nella cineasta uno sguardo registico personale e consapevole. VENEZIA81. Concorso

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Quelli che tornano dalla guerra hanno i segreti”, si sussurra a Vermiglio, ultimo comune della Val di Sole in Trentino, quindi da sempre una terra di confine. Siamo nell’inverno del 1944, gli ultimi fuochi della Seconda Guerra Mondiale si avvertono come echi lontani (nelle notizie sui giornali) e come sospiri vicini (nella speranza del ritorno dei propri cari dal fronte). La crisi economica, la paura per l’irruzione della modernità, il nuovo ruolo femminile nella sfera pubblica e gli antichi pregiudizi sociali… Vermiglio è un microcosmo sentimentale che rappresenta l’Italia alla vigilia del suo anno zero. Cosa accade? Un giovane soldato siciliano, probabilmente un disertore, si rifugia sulle montagne limitrofe: Pietro è un ospite inatteso che il villaggio accoglie e guarda con sospetto, tra pregiudizi e nuovi affetti. A Vermiglio, infatti, vive un integerrimo maestro elementare (Tommaso Ragno, perfettamente in parte) che ama Chopin e la terra da coltivare, le arti e la natura. È un uomo severo, a tratti autoritario, ma mai tirannico nel rapporto con le sue tre figlie che allegorizzano tre anime dell’Italia futura: Lucia si avvicina pian piano a Pietro sposandolo; Ada vorrebbe continuare studiare ma è destinata a soffocare desideri e aspirazioni; la più piccola, Flavia, è l’erede designata delle aspirazioni sociali del padre ma avverte tutto il peso della responsabilità. La guerra è finita: Pietro può ora tornare in Sicilia per regolarizzare la sua situazione ma questo evento, paradossalmente, rompe la pace del villaggio.

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È un film affascinate e ipnotico Vermiglio, costruito su costanti ellissi narrative nelle quali gli eventi accadono spesso in fuori campo (come per il destino di morte di Pietro) lasciando a noi spettatori la condivisione delle conseguenze umane. Il dramma si insinua silenzioso nella quotidianità, nel fluire della vita e delle stagioni, come correlativo oggettivo di una difficoltà a far collimare l’azione al sentimento. Pensiamo al bellissimo personaggio di Ada e alla sua ricerca identitaria posta sullo sfondo di una tragedia collettiva (la Guerra) e di una tragedia privata (il destino della sorella Lucia incinta) che reclamano il primo piano. Eppure Ada è capace di generare emozioni e riflessioni “contemporanee” confinate in una manciata di scene rubate alle linee d’azione principali.

L’archivio di forme e il registro metaforico di autori come Pietrangeli, Olmi o Pasolini è in più occasioni evocato e rimodellato ma mai sterilmente serigrafato. Così come il confine tra pratiche del documentario e spinte finzionali viene più volte valicato nel fertile lavoro antropologico su attori e luoghi. Un rigore formale che rende ancora una volta universale il tema della maternità tra dimensioni pubbliche e private, folklore e dolore. Certo, il film sconta qualche schematismo nella definizione dei suoi caratteri e qualche estetismo di troppo nel comprensibile timore di mettere in chiaro i tanti fronti delle riflessioni contemporanee (la guerra, la maternità, la condizione femminile, l’orientamento sessuale, ecc). C’è tanto altro, però. Perché Delpero continua a fidarsi delle proprie immagini aprendole a una moltitudine di significanze possibili: questo è un cinema che crede ancora nella potenza dei luoghi e dei volti come tramite per andare oltre le storie contingenti. Un cinema che si inscrive in una tradizione di cinema italiano che fa dell’etica della forma la sua intima riflessione umanista.

Insomma, Vermiglio è un film sincero e onesto con il suo spettatore confermando in Maura Delpero uno sguardo registico personale e consapevole che arricchisce il panorama del cinema italiano contemporaneo.

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3.5
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Il voto dei lettori
3 (3 voti)
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