Happyend, di Neo Sora

Un film giovanile dal sapore sociologico, capace di raccontare le crisi di una generazione solo in parte apolitica, senza mai dimenticare la levità del racconto adolescenziale. VENEZIA81. Orizzonti

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Una delle grandi lenti attraverso cui il Giappone ha filtrato culturalmente – e collettivamente – i fenomeni storici che si ramificano nei vari strati della società è stato il film adolescenziale. Sin dal periodo immediatamente successivo al termine dell’Occupazione Americana (1945-1952) la casa di produzione Nikkatsu ha avuto la capacità di comunicare con lo spettro giovanile del paese grazie alla realizzazione di opere generazionali, note con la terminologia di taiyozoku eiga (“film sulla tribù del sole”) e tese non solo a rivoluzionare il linguaggio cinematografico nazionale, ma a mettere in scena, per la prima volta nella storia, le pulsioni, le fantasie di libertà e l’erotismo di giovani cittadini cresciuti nel dopoguerra, e mossi dal desiderio di costruire un sistema valoriale opposto e contrario a quello dei “padri”. E nel corso delle decadi, con un apice toccato negli anni ’80 – ovvero il periodo dell’imperialismo economico del Giappone – la cinematografia nipponica ha assegnato ai film giovanili (seishun eiga) il compito di rivelare le crisi sotterranee della nazione, innervando di volta in volta i racconti delle problematiche più urgenti della contemporaneità. Un solco in cui si iscrive pienamente Happyend di Neo Sora.

Sulla scia di un’opera radicale ed influente come Go di Isao Yukisada (2001) il lungometraggio del regista giapponese (il primo di finzione dopo Opus, il meraviglioso film-concerto dedicato al padre Ryūichi Sakamoto) parte dalle pressioni e le discriminazioni subite dagli zainichi (coreani residenti in Giappone) e da tutti i cittadini non-naturalizzati, per mettere in scena una lotta di classe in opposizione all’autorità: rappresentata, nel mondo giovanile in cui si muovono i protagonisti, dal sistema scolastico. Happyend, proprio a testimoniare il suo afflato sociologico, è ambientato in un futuro estremamente prossimo dove il paese è minacciato dall’avvento imminente di un terremoto catastrofico, tale da portare i cittadini a mettere in questione la gestione governativa della crisi da parte del partito liberaldemocratico. Ed è su questo sfondo che una notte, i due giovani studenti Yuta e Kou, decidono di organizzare uno scherzo al preside, che costringe il corpo dirigenziale dell’istituto ad adottare dei sistemi di sicurezza invasivi, tali da privare il senso di libertà degli scolari, e ad incentivare (involontariamente) la coscienza politica di alcuni di loro.

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Oltre a porsi in netta continuità con le logiche del seishun eiga, tradotto qui in uno specchio di molte delle problematiche intrinseche del Giappone odierno, dall’ultraconservatorismo di una certa frangia del governo, alle pratiche discriminatorie esercitate nei confronti di chi non risponde pienamente ai canoni autoctoni nipponici fino alle manipolazioni con cui le autorità assoggettano i subalterni – e in questo caso, i giovani studenti – per conformarli alle regole da loro stabilite unilateralmente, Happyend non dimentica mai la levità che ogni grande narrazione sulla gioventù deve portarsi dietro. E anche quando si sofferma sulle idiosincrasie e sulle risibilità comportamentali dei suoi protagonisti, il film riesce a donare una connotazione sociologica ad ogni azione in cui si profondono, “politica” o ricreativa che sia. Dando così vita ad un ritratto sincero, e per nulla edulcorato, di una cornice generazionale che inizia a manifestare un dissenso palese nei confronti di liturgie societarie percepite, nel mondo odierno, come brutalmente anacronistiche.

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
4
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Il voto dei lettori
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