Songs of Slow Burning Earth, di Olha Zhurba

Un documentario sulla vita degli ucraini alle prese con la lunga invasione russa che schiva i topoi del reportage per farsi attento e incasellabile sguardo contemplativo. VENEZIA 81. Fuori Concorso

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C’è un long-take in Songs of Slow Burning Earth, il secondo lungometraggio di Olha Zhurba che qui racconta la vita degli ucraini alle prese con l’invasione russa, che è davvero la chiave di accesso a questo documentario allo stesso tempo attraente e incasellabile. La macchina da presa posizionata sul cruscotto del furgoncino ne inquadra la lenta ascesa per una strada di campagna innevata, piena di curve che ne rallentano ulteriormente l’andatura. Ai lati della provinciale, al suo lento apparire, le varie persone che vi stazionano si piegano in ginocchio, in un gesto che nessuna voce fuori campo e nessun controcampo spiega. Per sette-otto minuti siamo, insomma, al polo opposto del sovraccarico cognitivo a cui l’ultima delle guerre di conquista in suolo europeo ci ha abituato. Ed è proprio questa nebbia – d’altronde il doc si apre e si chiude proprio sui miasmi mattutini di una terra che brucia lentamente, come da titolo – informativa, il fascino ed il limite, cercati entrambi, di Songs of Slow Burning Earth.

Eludendo le sicurezze ma anche le trappole del reportage, Zhurba sceglie di raccontare solo alcuni aspetti delle vite di milioni di ucraini vittime di bombardamenti che, a dispetto dei soliti annunci di Blitzkrieg, da due anni li colpiscono. Ecco che le angosciate telefonate dei cittadini al numero di emergenza che chiedono informazioni sulle forti esplosioni che sentono – e che culminano con la più annichilente delle domande: “È guerra”? – si alternano a scene oramai divenute quotidiane come quella dei beni di prima necessità per la martirizzata Mariupol bloccati da altrettanto spaventati nuclei familiari nel parcheggio di un’altra città, a quella dei treni presi d’assalto a Kharkiv fino all’industria (la vecchia automazione sovietica anche per un’attività altrove artigianale!) del pane, fatta con coraggio ad appena venti chilometri dal confine.

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Songs of Slow Burning Earth, più che la spiegazione del trauma, sceglie di seguire il prisma di sensibilità della sua autrice, lasciando per una volta fuori campo sangue e connotazioni geopolitiche per dare invece voce a poetici e spesso muti atti comuni di resistenza. Con documentari come questi non si vincono festival e non si sconvolgono le coscienze, è vero, ma d’altronde nemmeno i massicci invii di armi del blocco occidentale impediscono, come spiegato nell’ultima scena finalmente retorica, agli adolescenti russi dall’altra parte del confine di marciare a scuola intonando minacciosi canzoni di guerra.

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3.5
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