Pavements, di Alex Ross Perry

Altro che “trattamento alla Bohemien”: il doc musicale sulla band più fannullona degli anni Novanta è uno splendido e polifonico inno al successo dell’insuccesso. VENEZIA 81. Orizzonti

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È strano essere migliori quando non ha più nessuna importanza“. A pronunciare questa frase in un soffio che sembra estrapolato da un libro di Alla ricerca del tempo perduto di Marcel Proust, è un ingrigito ma non sconfitto Stephen Malkmus. Una rivelazione di sconcertante verità, fatta durante la reunion del 2022 che ha visto i cinquantenni componenti del famoso gruppo indie tornare ad imbracciare gli strumenti, che è uno dei tanti straordinari passaggi di uno dei documentari meglio costruiti degli ultimi anni.

Con Pavements, Alex Ross Perry sposta infatti il baricentro dell’inflazionato genere del biopic musicale verso poli esistenzialisti degni dei maggiori cantori dell’inettitudine letteraria che ha attraversato i primi decenni del Novecento. L’indolenza e la ritrosia al successo della “band che ha rovinato il Lollapalooza” – col recupero dello spezzone di Malkmus preso a palle di fango durante l’edizione del 1995 da gente che probabilmente oggi ne alimenta il culto -, emergono dall’impressionante lavoro d’archivio col disincanto e la mancanza di rimpianti di chi ha accettato, con un’alzata di spalle lo-fi, di stare per decenni al limine del successo senza mai potere/scegliere di varcarlo. Certo, è vero che “noi non abbiamo successi immediati come gli Oasis” (la cui reunion invece, ha attirato frotte di nostalgici un tanto al chilo) ma è innegabile che aprire i concerti dei Nirvana e dei Sonic Youth, nell’epoca d’oro del grunge e dell’indie, sembrava aprire loro un futuro tutto speciale nel mondo della musica.

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L’incagliamento della carriera della band di Stockton è quindi raccontato attraverso un libero montaggio di backstage, sia del passato che del tour del ritorno, e degli odierni progetti – il musical basato sulle loro canzoni e il museo che raccoglie i vari memorabilia (perfino i vestiti sporchi di quel dannato festival!). Con la rinuncia, finalmente, alle interviste e al voice-over, l’altro punto di forza del lavoro di Alex Ross Perry è lo stratificato collegamento con il fittizio biopic “Broken rage” che avrebbe dovuto portare ad Hollywood la storia di Malkmus (interpretato da Joe Keery, che si regala una gag splendida studiando la foto dell’interno gola del leader) e soci attraverso un progetto alla Bohemian rhapsody. La libertà di giocare con questa pluralità di registri linguistici fa sì che Pavements solo nel finale ceda a qualche accenno di trionfalismo, ben esemplificato dalla dichiarazione di Noah Baumbach che, accanto alla compagna Greta Gerwig nel backstage del tour, riconosce con bonario hipsterismo che “Se devi sembrare bello e intelligente devi parlare dei Pavement“.

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
4
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