M. Il figlio del secolo, di Joe Wright

Tratto dal romanzo di Antonio Scurati, un’ottima serie che racconta la storia politica dell’individuo che portò l’Italia al disastro, con la violenza e la manipolazione. VENEZIA81. Fuori Concorso

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La M è una lettera che nella sua declinazione per il Cinema ha un destino spaventoso. Dalla prima comparsa con M. Il mostro di Düsseldorf, opera basilare del genio di Fritz Lang, all’ultima esilarante trovata di Takeshi Kitano che in Broken Rage, stampata su una busta, nasconde il mandante del crimine. Li lega una profonda linea di sangue, a cui non si sottrae neanche questo adattamento del romanzo omonimo e Premio Strega di Antonio Scurati, che ripercorre i giorni e le tappe importanti nel processo di costruzione del regime e della sua figura chiave, il duce, l’appeso, da una data fatidica, il 19 Marzo 1919, giorno di fondazione del primo fascio di combattimento a Milano.

L’aggancio letterario permette di ricostruire i fatti ed indicare i personaggi con precisione, i collusi ed i sodali. Concede inoltre un surplus di liceità artistica nel tenere la narrazione fuori dal pericolo di apologia (anche se il rischio rimane vista l’enorme ottusità dei nostalgici), lasciando a Marinelli il compito di interpretare le metamorfosi umane e politiche di Mussolini. Sguardo in camera, voce retorica, ideologia ignorante, virilità esibita, l’attore utilizza le doti del futuro capo di stato per costruire un ritratto fumettistico e caricaturale. Onta della categoria giornalistica come direttore del Popolo d’Italia per il suo uso manipolatorio dell’informazione, l’individuo M. mostra una facciata di rispettabilità, malcelata dagli sgherri che lo circondano, cioè gli squadristi responsabili delle violenze di piazza, a base di manganello ed olio di ricino, gruppi fanatici e ridicoli. Candidato capopopolo, rompendo la quarta parete, rende lo spettatore partecipe degli imbrogli, dei tradimenti e del disprezzo verso le istituzioni e di chi le rappresenta, l’idea di non lasciare superstiti ad intralciare la via del potere, allacciando alleanze con i vili rappresentanti del tempo, l’industria e la casa reale diventati poi suoi complici. Mentre la sua vita privata è il modello originale dello squallore del maschio italico che lo orientano nella sfera intima: bugiardo, stupratore ed inaffidabile padre di famiglia, organismo sociale usato come propaganda dai suoi eredi, ora come allora.

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Le didascalie fissano la cronologia di una storia nota, gli omicidi, i ricatti, le minacce. A renderla interessante sono le soluzioni adottate nel raccontarla: il montaggio, le incredibili scenografie e soprattutto il sound design quando sottolinea le derive repressive ed i pestaggi sprofondandoli nel dolore dell’angoscia, fotografata in un bianco e nero sporco, inquinato. Un insieme armonico, veloce, che accompagna la performance incredibile dell’attore romano per trasformarsi nel leader delle masse, temuto per paura, rispettato dai favoreggiatori, fonte di ispirazione di un altro ancor più feroce dittatore, Adolf Hitler. Una serie che è la dimostrazione di come non esistano argomenti tabù, ma solo tempi e modi giusti di esporre, l’occasione di ricordare la barbarie fascista in questo periodo di revisionismo storico governativo, con uni stile moderno ed accattivante, e ritrovare una coscienza critica partigiana che questi anni distratti hanno ridotto ai minimi termini.

La valutazione della serie di Sentieri Selvaggi
3.7
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Il voto dei lettori
1 (1 voto)
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