Non aprite quella porta, di Tobe Hooper

Un capolavoro horror ancora poco considerato che combina istanze da cinema underground, con picchi sperimentali e piglio documentaristico. Un cult imperdibile che torna oggi al cinema.

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Ancora oggi Non aprite quella porta, il cult di Tobe Hooper diretto nel 1974 che torna in sala da oggi in versione restaurata in 4K in occasione del 50° anniversario, testimonia  quanto poco considerato sia questo capolavoro nel nostro paese, dove è venerato e difeso soltanto da una ristretta cerchia di cinefili e amanti dell’horror. Un atteggiamento, come spesso accade, meritorio ma purtroppo foriero di ghettizzazioni involontarie. Viceversa, nella patria d’origine, il film non è soltanto conservato nella collezione permanente del Museum Of Modern Arts di New York, ma è spesso citato da registi come Ridley Scott, William Friedkin, John Milius, John Landis, soltanto per ricordarne alcuni.

Solitamente, però, accade il contrario: i film americani di genere trovano maggiore accoglienza in Europa, mentre sono guardati con molto sospetto in patria. Ecco, forse è proprio questo il punto nevralgico della questione: Non aprite quella porta non è soltanto un pop-corn movie (o peggio ancora un film “trash” come è stato etichettato con infamia), ma è una macabra visione, una di quelle opere capaci di coinvolgere contemporaneamente più campi dell’arte visiva. La vicenda narrata, quella di cinque ragazzi che diventano vittime di una famiglia di assassini cannibali di una cittadina del Texas, indubbiamente nerissima e sconvolgente, condotta con mano sapiente da un Hooper ispirato, e possiede una fisicità asfissiante che si infrange letteralmente in faccia allo spettatore. Ma allo stesso tempo è possibile notare piccoli scarti dei corpi che lasciano intendere una palese teatralità dell’azione, una cifra grottesca che vorrebbe rendere “pulp” l’evolversi degli eventi, ma che, per ossimoro, amplifica la follia dell’insieme.

Il risultato fa venir meno le coordinate classiche con le quali ci si relaziona “normalmente” al genere horror: in questo modo, nonostante i trent’anni di vita e un insieme di elementi che datano la vicenda negli anni Settanta (dalla didascalia iniziale al look dei protagonisti) il film diviene opera universale. Inoltre bisogna riconoscere la capacità registica di Hooper, che media fra istanze da cinema underground, con picchi sperimentali (i flash iniziali, che sembrano usciti da un lavoro di Stan Brakhage), e piglio documentaristico (le inquadrature del mattatoio), fino a sfociare nella favola gotica con la leggendaria sequenza dell’inseguimento fra Leatherface e Sally. Un film che, senza dubbio, merita i fasti che ha raccolto e che a ogni visione mostra nuovi dettagli in grado di rinsaldarne il mito.

 

Titolo originale: The Texas Chainsaw Massacre
Regia: Tobe Hooper
Interpreti: Marilyn Burns, Gunnar Hansen, Paul A. Partain, Teri McMinn, Allen Danziger, William Vail, John Dugan, Edwin Neal, Jim Siedow
Distribuzione: Midnight Factory, etichetta di proprietà di Plaion Pictures
Durata: 83′
Origine: USA, 1974

 

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
5
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Il voto dei lettori
5 (1 voto)
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