Russians At War: il punto sulle polemiche sul documentario sul fronte russo

Dopo la presentazione a Venezia, il film di Anastasia Trifomova continua ad attirare malumori. Le proteste degli ucraini fuori il TIFF ne hanno bloccato, per qualche giorno, la proiezione

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La tesa situazione geopolitica contemporanea continua a interessare sempre più i progetti che questo contesto provano a raccontarlo e a finire nella bufera mediatica è questa volta la regista russo-canadese Anastasia Trofimova, classe ’87, autrice del documentario Russians At War, cronaca di una parte dell’invasione russa dell’Ucraina vista dal lato degli invasori, di recente presentato al Festival di Venezia e che in queste settimane è stato tra i titoli più discussi del cartellone del Toronto Film Festival 2024. Anastasia Trofimosa, regista produttrice e direttrice di fotografia, dopo la laurea in Comunicazione, Cultura e Tecnologia dell’informazione  ed un Master in Relazioni Internazionali ad Amsterdam, da circa dieci anni è uno dei nomi più in vista del cinema documentario più embedded, votato a raccontare le zone più in ombra dei teatri di guerra e delle crisi politiche contemporanee, non solo in Europa dell’Est ma anche in Iraq, Siria e Repubblica democratica del Congo. Così dopo Her War: Women Vs. ISIS, che prova a raccontare il difficile rapporto tra le donne ed i terroristi dello stato islamico, Victims Of ISIS (cronaca del lavoro di un trafficante Yazida che prova a riportare a casa le donne e i bambini rapiti dall’ISIS dopo le loro incursioni nei villaggi montani del monte Sinjar) e The Road To Raqqa la regista gira Russians At War, un documentario che raccoglie il materiale che la Trofimova ha girato dopo aver passato sette mesi infiltrata in un battaglione dell’esercito russo impiegato nel territorio ucraino orientale occupato.

Nata senza l’appoggio del governo russo, prodotta con capitali canadesi, l’opera ha inevitabilmente scatenato una serie di polemiche, che l’hanno portata al centro dei riflettori della stampa internazionale, che ne hanno messo in discussione metodi, approcci e connessioni più o meno evidenti, anche solo ideologiche, con il governo di Putin. Atteso al TIFF a inizio settembre, dopo aver attirato più di un malumore al Lido di Venezia, nei giorni antecedenti alla presentazione del film in terra canadese circa 400 cittadini di Toronto si sono dati appuntamento fuori ad uno teatri principali del Toronto Film Festival protestando con cartelli alla mano che riportavano scritte come  “Russians at War vittimizza assassini e stupratori” o, ancora, “Hey, TFF!? La propaganda russa uccide”. Per questo motivo l’organizzazione del Festival ha sospeso momentaneamente la proiezione dell’opera, dichiarando il suo rammarico e sostenendo, come riporta Variety, che si tratta di un film profondamente pacifista. “È stata una decisione incredibilmente difficile. Quando selezioniamo i film, siamo guidati dalla missione del TIFF, dai nostri valori e dai nostri principi di programmazione”. Il film è stato poi regolarmente proiettato qualche giorno dopo, il 17 settembre, ma laa regista non ha trovato il  sostegno di alcuni  suoi colleghi come la produttrice di Songs Of Slow Burning Earth (sorta di “lato B” del progetto della Trofimova, impegnato a raccontare la reazione degli ucraini all’invasione della loro terra), Daryal Bassel. La donna ha criticato la decisione da parte del Festival di proiettare il film russo, portando l’attenzione su quanto il taglio scelto dalla Trofimova, che nelle note di regia del film racconta di essersi concentrata per trovare la dimensione umana dei soldati russi, rischia di far perdere di vista quanto quegli stessi soldati si siano macchiati, con buona probabilità, di crimini di guerra indicibili contro gli ucraini.
Ad aggiungersi al coro dei cittadini ucraini, vi è anche il vice primo ministro e ministro delle finanze canadese Chrystia Freeland, di origine ucraina, che ha espresso le sue perplessità in merito al film durante un incontro stampa a Ottawa. Si aggiungono poi le parole di Oleh Nikolenko, console generale dell’Ucraina a Toronto, il quale ha dichiarato in un’intervista a Global News: “Stanno cercando di confondere la responsabilità delle azioni militari russe in Ucraina e di equiparare l’aggressore alla vittima“.

Dall’altra parte vi sono i lavoratori del progetto Russians At War, che sostengono che le numerosi recensioni negative e commenti riguardo il film, provengono da persone che non hanno nemmeno assistito alla proiezione dell’opera. A questo proposito, Kyiv Indipendent ha raccolto alcune opinioni di figure professionali del cinema che hanno effettivamente preso parte alla proiezione, prime fra tutte la manager di comunicazione ucraina Tetiana Mala. Quest’ultima afferma che assistiamo a una falsa realtà, “ha infranto tutte le regole giornalistiche di obiettività e si è schierata”. Il film non è stato visto di buon occhio neppure dal critico tedesco Hugo Hemmerzael, che lo definisce un documentario mediocre e, non solo, lo stronca per non aver narrato della prospettiva ucraina.
Non è dello stesso parere la critica ucraina Sonya Vseliubska che sottolinea il fatto di come gli spettatori siano immersi nella mediazione fin dall’inizio, provando empatia per i soldati russi e le loro difficili condizioni.

Cosa ne pensa la stessa Trofimova di questa bufera mediatica? Lei stessa parla del film dicendo: “A causa del clima geopolitico che esiste, questi ragazzi (i soldati russi) volevano solo condividere con qualcuno le loro esperienze e le loro sensazioni. Sì, ci sono andata io e nessun altro”, come riporta The Hollywood Reporter. Inoltre, la regista ha rilasciato da poco un’intervista per il giornale russo Baikal sostenendo che prima di girare Russians At War, non sapeva esattamente che risposta aspettarsi dall’esercito russo ed è rimasta sorpresa nello scoprire che la maggior parte dei componenti dei ranghi militari con cui ha interagito erano persone comuni messe in situazioni assolutamente insolite e verso cui, spesso, si sono dimostrati impreparati.
Anastasia Trofimova precisa che non si tratta di schierarsi a tutti i costi, né di voler scegliere da che parte stare. “Capivo che tutti i coinvolti, i russi e gli ucraini stavano morendo allo stesso modo, che i ragazzi interagivano tra di loro allo stesso modo, che le loro madri avrebbero pianto allo allo stesso modo. Ed è tutto così inutile. E dentro non c’è più rabbia per quello che sta succedendo, ma una sorta di apatia”.

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