Addio a Fredric Jameson

Se n’è andato il critico letterario e teorico politico statunitense, conosciuto al mondo per le sue brillanti analisi sulla cultura contemporanea, sull’arte e sul cinema

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Ha saputo creare un immaginario letterario studiato in ogni angolo della terra e utile per comprendere i meccanismi sociali dai quali, anche oggi, dipendiamo. Se n’è andato all’età di 88 anni Fredric Jameson, critico letterario e teorico politico statunitense, conosciuto al mondo per le sue brillanti analisi sulla cultura contemporanea.

Da giovane Fredric Jameson si laurea negli Stati Uniti d’America per poi intraprendere un viaggio in Europa. Studia infatti a Aix-en-Provence, Monaco e Berlino, dove entra in contatto con nuove correnti filosofiche e in particolare con lo strutturalismo, movimento nato in Francia negli anni ’60. Questo viaggio e il successivo ritorno in America, insieme all’incontro con il filosofo tedesco Erich Auerbach segneranno per sempre la sua opera. Diventa docente universitario e già negli anni ’80 viene letto in ogni angolo della terra.

Comincia tutto con Postmodernism or the Cultural Logic of Late Capitalism, saggio di poche pagine che Fredric Jameson pubblica nel 1984 sul giornale britannico New Left Review e che in Italia arriverà solo anni dopo. In questo piccolo libro l’autore offre una critica al modernismo e post modernismo da una prospettiva marxista e si rivela già essere pungente, provocatorio e illuminante. Per Jameson, il post modernismo è il periodo storico in cui il moderno ha finito la sua energia.

Nel saggio successivo dal titolo Postmoderno, Jameson amplia questo concetto e spazia in ogni ambito della realtà che conosciamo, dall’architettura all’arte, dalla tv al cinema (quello di David Lynch, soprattutto), alla letteratura. Per tutte queste forme d’arte egli riflette sul rapporto tra forma e contenuto, dichiarando il post-moderno un’epoca in cui ogni cosa perde di profondità e diventano labili valori e confini dettati dalle epoche precedenti. Il post-moderno è un’epoca invasa dalla merce, che non solo invade il mercato ma anche la coscienza e la sfera inconscia dell’essere umano, andando a frammentare il “soggetto trascendentale”. Egli prende come esempio di ciò, divenuto esempio famosissimo, le scarpe da ballerina di Andy Warhol che, messe a confronto con le scarpe da contadino di Vincent Van Gogh, che richiedevano uno sforzo interpretativo, restano invece superficiali e “non ci parlano affatto”, offrendosi come oggetti morti.

Nel saggio Firme del visibile del 2003, Jameson si occupa di cinema, regalandoci una delle più interessanti riflessioni sul rapporto che c’è tra le immagini che scorrono sullo schermo e il contesto storico da cui queste immagini derivano. Si domanda se il cinema può sostituire, nell’epoca post-moderna, la letteratura come strumento per leggere la realtà sociale, e attraverso i film Shining di Stanley Kubrick, Psycho di Alfred Hitchcock, Lo Squalo di Steven Spielberg, Il padrino di Francis Ford Coppola, Hitler di Hans-Jürgen Syberberg e Blow-up di Michelangelo Antonioni indaga i concetti di allegoria, mimesi e realismo magico.

È più difficile immaginare la fine del capitalismo che la fine del mondo”. Questa la frase più celebre di Fredric Jameson – che anni dopo Mark Fisher farà diventare “sua”. Jameson tornerà a spiegarla, dicendo di non aver mai voluto negare la possibilità di una rivolta contro il sistema capitalistico. Questa possibilità, anzi, era ciò che teneva viva la sua energia critica.

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