GERMANIA 2006 – Il ragazzo di Calabria: l'Italia di Simone Perrotta

Corre corre corre Simone Perrotta, non la smette mai. Questo figlio di emigranti calabresi è il nuovo simbolo di una nazionale che, grazie a lui, è oggi forse un po' meno "fighetta", dove molti giocatori sembrano uscire da uno spot pubblicitario piuttosto che dagli spogliatoi… E oggi, forse ci piace un po' di più tifare per l'Italia di Perrotta.

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Visto da lontano sembra più alto di quel metro e settantotto centimetri che risulta dai dati ufficiali. Sarà forse per via di una particolare connotazione fisica, ma le sue lunghe leve lo fanno apparire (quasi) un gigante. Corre corre corre Simone Perrotta, non la smette mai. Ma il suo non è un correre disordinato e confuso, volto più a distruggere il gioco  degli altri che a costruire, in questo è "maestro" il suo "conterraneo, Rino Gattuso (che con Iaquinta forma questo trio tutto calabrese). No, Perrotta interrompe il gioco degli altri certo, ma immediatamente è pronto per quelle che Arrigo Sacchi definì, tra le risa dei giornalisti degli anni Ottanta abituati ad un altro vocabolario, "ripartenze". Fino ad allora attaccare l'avversario colpendolo di sorpresa nel momento in cui era indifeso si chiamava "contropiede" e l'Italia era maestra di questo gioco. Poi arrivò questo misconosciuto tecnico di Fusignano, e cambiò la storia (e la tecnica/tattica) del calcio italiano. Dov'era la differenza? Difficile da spiegare per chi non mastica calcio tutti i giorni sui campi di gioco, ma possiamo provare a spiegarcelo con l'idea che il contropiede era rappresentato "simbolicamente" dal calciatore dai piedi buoni (come Luisito Suarez nella grande Inter di Herrera) che recuperata la palla dalla propria difesa lanciava con precisione per 50-60 metri il velocissimo compagno di squadra, fosse Mazzola o Jair, che si fiondava da solo verso la porta avversaria. Il Milan di Nereo Rocco vinse une celebra partita contro l'Ajax, nel 1969, dopo essersi difeso per tutto il tempo e, nel finale, con un lungo e precisissimo lancio di Rivera che arrivò perfetto sui piedi del veloce Chiarugi che lasciò di sasso la difesa olandese. Era il calcio degli anni sessanta, ma fu proprio quell'Ajax, negli anni successivi, a rivoluzionare il concetto di gioco collettivo, superando la specializzazione dei ruoli e creando quel cosiddetto"calcio totale" che dominò negli anni settanta (pur sfortunatamente perdendo due finali mondiali).  E le ripartenze? Già, le ripartenze… Queste sono legate a un gioco dove il possesso di palla diventa parte integrante della partita. E, soprattutto, di un pressing (ovvero di una – letteralmente – pressione sugli avversari) asfissiante che rende la vita difficile ai portatori di palla avversari. Si parla di ripartenza nel momento in cui il portatore di palla, aggredito dal pressing, perde il pallone e la squadra, rapidamente e collettivamente, risale veloce verso la metà campo avversaria, creando un "break" che mette in inferiorità numerica l'altra squadra. Non è chiaro? Mah, il calcio è una scienza complicata, applicata su di un gioco molto semplice.

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Ma torniamo a Perrotta. Che è una bella storia. Di un ragazzo di Calabria che nasce ad Ashton, in Inghilterra, il 19 settembre del 1977 (nei giorni in cui a Bologna, c'è il Convegno del Movimento Studentesco sulla "repressione" in Italia…). I suoi genitori, papà Francesco e mamma Annamaria, originari di un paesino in provincia di Cosenza, Cerisano, sono emigrati in Inghilterra ma, quando il piccolo Simone ha solo 5 anni, la nostalgia dell'Italia riporta i Perrotta in Calabria. Ed è nel profondo sud che cresce questo ragazzo, che a soli 13 anni si trasferisce alla Reggina, che ne comprende subito l'innato talento. Poi una trafila di successo, fino alla nazionale giovanile, su indicazione di Cesare Maldini. E, già nel 1998, il ventunenne Perrotta, conteso da tante squadre, arriva addirittura alla Juventus. Ma resterà solo un anno, oscurato dalla presenza di giocatori come Zidane e Dechamps. Farà due anni al Bari per poi approdare alla giovane realtà emergente del Chievo Verona, dove le sue qualità saranno messe in mostra al punto di farlo arrivare in nazionale, nel 2002. Nazionale dove Perrotta sarà protagonista nel periodo di Trapattoni fino all'ultimo sfortunato europeo (quello dello "sputo di Totti") in Portogallo. E quando arriva Mr. Lippi per Perrotta le porte sembrano chiuse per sempre. Il tecnico di Viareggio sceglie il mastino Gattuso, il "gioiellino" Pirlo, e l'emergente De Rossi per il suo centrocampo. Perrotta si trasferisce a Roma dove, il primo anno, non combina molto. Anzi è puntualmente beccato dalla curva degli Ultrà. Ma è un anno difficile per tutta la Roma, e l'anno seguente, arriva sulla panchina Luciano Spalletti, che cambia radicalmente faccia alla squadra. E quando, complice l'assenza tra infortuni e partenze varie, di tutti gli attaccanti di ruolo, Perrotta si ritrova a giocare nel ruolo di "trequartista" (ovvero quel giocatore che sta subito dietro gli attaccanti), le sue qualità emergono con prepotenza e, in breve, diventa il giocatore insostituibile della Roma dei record degli 11 successi consecutivi. Perrotta corre, è pronto a coprire dappertutto, va in pressing sui portatori di palla (celebre la sua azione proprio su Pirlo, in Roma Milan, "soffocato" dalla sua azione), e velocemente "verticalizza" (ovvero si lancia in corsa dritto verso la porta avversaria). A volte fa anche gol. Insomma il suo talento esplode in maniera esplosiva al punto che Lippi, pur non avendolo mai chiamato nei due anni di Nazionale, non può non portarlo con sè al mondiale di Germania.

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E, ieri sera, nella bella, quanto sofferta, vittoria della Nazionale italiana contro il Ghana, Simone Perrotta è stato, di gran lunga, il migliore in campo. Era dappertutto. Aiutava in difesa, sui tackle, sui colpi di tesa, soffriva e combatteva a metà campo, coprendo senza protestare le "lacune" difensive che inevitabilmente Pirlo e Totti creavano, ma era sempre prontissimo a  presentarsi, con delle magnifiche "diagonali", in attacco, addirittura non sempre servito perché non tutti sono ancora abituati alle sue sortite "in profondità" che hanno spopolato nella Roma di Spalletti. Fino ad arrivare, almeno un paio di volte, persino in zona gol, dove certo aspettarsi da parte sua anche quella freddezza e lucidità davanti al portiere sarebbe davvero pretende troppo (magari da Gilardino invece si…). Insomma, in una partita che ci ha mostrato ancora una volta come il calcio africano, con i suoi giocatori globetrotters, ormai tutti accasati in Europa e due-tre grandi talenti di prima classe (Michael Essien, centrocampista del Chelsea, su tutti), sia ora arrivato ad un soffio dal livello delle grandi squadre europee e sudamericane, il "ragazzo di Calabria", con la sua corsa agile e veloce, quella furia che lo fa resistere alle cariche degli avversari, rialzarsi subito dopo aver subito un fallo, ebbene questa sorta di "naturalezza", fisicità e tecnica, hanno reso più simpatica una nazionale, a dire il vero, un po' troppo "fighetta", dove molti giocatori sembrano uscire da uno spot pubblicitario piuttosto che dagli spogliatoi….


Poi, per la cronaca, c'erano probabilmente due rigori per il Ghana, un paio di fuorigioco inesistenti per l'Italia e, forse, il risultato più giusto sarebbe stato 4 a 2.  Ma, oggi, forse ci piace un po' di più tifare per l'Italia di Perrotta.

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