LA FOTO DEL GIORNO – I giornaletti sporchi, al Detour

Oggi, alle 18.00 in via Urbana 47/a, a Roma, si presenta il romanzo di Demetrio Salvi, "I giornaletti sporchi", edito dalla Città del sole. Saranno presenti lo scrittore Diego Zandel e l'autore del volume, regista e critico cinematografico, Direttore Didattico della Scuola di Cinema Sentieri selvaggi. Vi presentiamo in anteprima alcune pagine

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LA SCUOLA DI DOCUMENTARIO DI SENTIERI SELVAGGI

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BANDO BORSE DI STUDIO IN CRITICA, SCENEGGIATURA, FILMMAKING

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Dal romanzo  I giornaletti sporchi  di Demetrio Salvi  – Città del sole edizioni


 

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Era il trentuno maggio millenovecentosettantatre, lo ricorda benissimo e lo ricorderà per tutta la vita, così come ricorderà, per tutta la vita, certi occhi di gatto, certe gambette che corrono veloci, certi seni e certe mani. Come ricorderà per tutta la vita il bacio di Adelina, anche se, quel bacio, non c'è mai stato. Come ricorderà le labbra dolci della mamma che si poggiarono sulle sue gote.


Ricorderà pure tutta una serie di cose stupide e vecchie che sommergeranno tutto il suo cervello senza che ce ne sia motivo, un litigio brusco con un ragazzaccio, i suoi pianti disperati per non entrare nelle case di persone a lui sconosciute, le lettere scritte agli amici e agli insegnanti e mai spedite.


Così, quella giornata era nata proprio in uno strano modo, con una telefonata di Gianfranco che gli diceva: che andiamo a fare, oggi, a scuola? è finita… E, poi, vorrei darti le cose che ti devo…


Le cose che mi devi? E quali sono?


Dai, non fare lo scemo. Le cose che ti devo, quelle cose che ti promisi, non ricordi più?


Le cose che mi devi, le cose che mi devi, sono i giornaletti sporchi, ecco cosa sono, quelli sporchissimi che non ho avuto mai il coraggio di ricomprare e che, ora, sono rimasti a te e tu, ora, te ne vuoi sbarazzare, ora che hai la ragazza non t'interessano più… Bene, benissimo, pensava Nino, ma non doveva darlo a vedere e parlò con nonchalance.


Va bene, va bene, ma come facciamo?


Niente: te li vieni a prendere tu a casa mia nel pomeriggio.


Alle quattro?


Facciamo alle quattro e mezzo. Prima ho da fare la valigia.


Già parti? E non resti per la fine della scuola? e per la mia comunione? ero certo che restavi…


Guarda, è mio padre che ha la fregola di partire, cioè: di farci partire – perché, poi, lui ritorna e sta in giro per lavoro. Per la scuola…. non me ne frega un fico, tanto so già che sono stato promosso… e sono stato interrogato pure in tutte le materie… Mio padre passerà ad avvertire…


Ma… ma il compito di matematica? quella non l'ha ancora corretto. Ci ha promesso che lo portava lunedì…


Sìì, e tu le credi? Ce lo farà vedere l'anno prossimo. Siamo rimasti solo noi due a credere a queste belle favolette. I professori, di noi, se ne fregano e meno li fai lavorare meglio è.


Sì, vabbè, però mi faceva piacere se venivi…


E poi preferisco andarmene a mare fin da ora…


Aveva ragione: andare al mare era molto meglio che restare lì, che rimanere nel caldo di città, era sempre meglio che uscire per le strade assolate a non far nulla, era certamente meglio di tutto questo e di molt'altro ancora.


Per cui: buon viaggio, caro amico, e mentre pensava, senza dirle, queste cose, e aveva dentro una rabbia che volentieri sarebbe esplosa, già vedeva la lunga estate che gli si parava davanti, la lunga estate senza amici e con l'unica presenza che era quella di Gianni, che pure sarebbe andato al mare ma che sarebbe tornato nel tardo pomeriggio e che gli avrebbe raccontato, per filo e per segno, la sua inutile scampagnata.


L'amico se ne andava e a lui non restava che soffrire e, soffrendo, aspettare tre mesi con l'idea fissa che Gianfranco, da un momento all'altro, pure sarebbe tornato e, come ogni anno, gli avrebbe fatto lo scherzo di rimandare d'una settima il rientro e poi d'un giorno e d'un  altro giorno ancora.


Poi, all'improvviso, Nino fu sopraffatto dall'angoscia, dalla piacevolissima angoscia di dover recuperare e nascondere quel materiale del quale sarebbe stato unico depositario per almeno tre mesi, un segreto terribile stava nascendo in quella casa e lo atterriva, quasi avesse trafugato dei morti e, ora, li stesse nascondendo tra le tranquillizzanti mura domestiche.


Accettò di lasciar perdere la scuola – anche per lui valevano le stesse verità espresse da Gianfranco – e si dette da fare nella ricerca d'un posto definitivo nel quale sistemare i testi misteriosi.


Individuò un'enorme pila di vecchie riviste del padre che, ormai, non si toccavano più da anni, la madre avrebbe voluto che fossero gettate ma il marito, testardo, combatteva accanitamente per far sì che la colonna non fosse mai rovesciata.


Sarebbe stata una faticaccia ficcare il materiale là sotto e, poi, ogni tanto, prenderlo – perché bisognava prenderlo, su questo non c'erano dubbi – e, poi, sarebbe stato necessario essere veloci. E non bisognava lasciare tracce, non bisognava insospettire. Cose non facili, insomma.


Il rischio c'era, ma il gioco valeva completamente la calda candela che avrebbe avuto tra le mani. Farsi scoprire avrebbe significato perdere tutti quei punti di fiducia che s'era conquistato anno dopo anno, fin da quando, di anni, ne aveva solo quattro o cinque.


Nei suoi piani s'immaginava, per quel pomeriggio, la madre dai Latorre ed il padre che non sarebbe tornato prima delle nove. In questo modo, l'operazione era semplificata. Ma le cose iniziarono ad andare storto a partire dalle tre del pomeriggio: il padre tornò per un violento mal di testa che lo costringeva a ficcarsi a letto precipitosamente.


Così anche la madre sarebbe rimasta bloccata a fare da infermiera al marito.


Porcheria! Porcherie!


Nino voleva protestare ma non sapeva quali argomenti usare: mica poteva dire che, al padre, la testa gliel'avrebbe staccata e che preferiva sapere che la madre usciva col Latorre piuttosto che trovarseli entrambi tra i piedi, e per tutta la sera, per giunta.


Sfortunatissima sfortuna!


Sperava in qualche miracolo e, intanto, portava bei bicchieri d'acqua fresca al padre, cercando di farlo guarire prontamente, di liberarsi di lui anche solo per una mezz'oretta.


Invece, niente. Aveva anche la febbre e la madre, al telefono, parlando col dottore, assentiva e commentava dicendo: certo, è influenza, è l'influenza che corre…, maledetta influenza!


Era, così, necessario cercare un altro nascondiglio che servisse, almeno, per i primissimi giorni. E fu allora che Nino s'accorse di quanto fosse aperta la sua casa, senza un anfratto, senza una zona buia, un buco, niente di niente. Che fare? Tenerseli sempre dietro, ficcarseli in cartella, con il rischio che qualche mano indiscreta potesse mettere fuori il contenuto. Tenerla sempre sottocchio, fatica improba e maledetta.


Ma, intanto, il padre era lì e la febbre saliva, saliva, quasi a dispetto di quelle che erano le attività di Nino.


Alle quattro friggeva sapendo che, di lì a poco, sarebbe dovuto scendere, avrebbe dovuto attuare il recupero.


Sperava in un miracolo, lui che di miracoli non ne avrebbe visti mai. Perdeva tempo, cercava altri posti, altre situazioni, si scervellava ma niente di niente riusciva a venirgli alla mente, solo qualche schifosissimo posto banale e alla portata di tutti.


Bisognava rischiare e, mentre stava per scendere, preparato di tutto punto, con le scarpe da ginnastica e il capello tirato a lucido, squillò il telefono.


Era Gianfranco.


Ma che cazzo fai?


Eh, stavo venendo…


Beh ora lascia perdere, non fa niente…


Come, non fa niente?


Debbo scendere fra due minuti con i miei. Te li do per strada. Tu fatti trovare giù.


Come… come sarebbe a dire: per strada?


Guarda, non è colpa mia. I miei devono scendere subito… mio padre ha ricevuto una telefonata volante… Comunque, tu non ti preoccupare, i giornali li metto dentro ad altri giornali… vedrai: nessuno se ne accorge… L'abbiamo già fatto, non ti ricordi?


Sì, vabbè, ma erano giornaletti piccoli…


Non ti preoccupare. Noi stiamo per scendere, se sei pronto scendi anche tu e vienimi incontro.


Nino non era d'accordo per niente ma, come un fesso, accettò. Dentro di lui c'era un'insoddisfazione che lo attanagliava e mentre camminava verso la porta lo sentiva benissimo che stava facendo qualcosa contro la sua volontà. Qualcosa per la quale non era assolutamente d'accordo. Maledizione!


Attese l'ascensore battendo meccanicamente il piede per terra ed era una cosa che non faceva mai. L'ascensore tardava a salire ed ebbe tutto il tempo per innervosirsi con maggior forza e con maggior rabbia. Poi sentì la porta d'un appartamento che si apriva alle sue spalle e si trovò, faccia a faccia, con Adelina che non vedeva dal giorno di quell'accidente del bacio. Sentì una stretta ed un imbarazzo che cresceva violento. Non aveva parole e sprecò un mezzo sorriso come se fosse un saluto. Adelina fingeva di non vederlo neppure e si capiva che stava lì, aspettando che uscissero i suoi, con i quali sarebbe scesa.


Arrivò l'ascensore, Nino si voltò con l'intenzione di fare una galanteria e di cederglielo ma quella si ostinava a guardare dentro casa e, lui, fu costretto ad entrare nell'abitacolo e a scendere.


Giù – sorpresa! – trovò Luca che stava aspettando la sorella ed i suoi per uscire con loro.


Quei rompiscatole dei miei ci mettono anni a scendere! Poi venne accalappiato dalla solita banda di nullafacenti e si avviò, con altri due tipi, verso il muretto.


Nino avrebbe voluto evitarne la presenza e stava lì, imbarazzato, senza sapere che fare. Stava a guardia del portone dal quale sarebbe uscito Gianfranco e, contemporaneamente, teneva sottocchio il gruppetto di amici che ridevano e scherzavano a gran voce.


Forse ci fu un attimo in cui lo sguardo di Nino si attardò di più su di loro, fatto sta che si sentirono chiamati in causa e Luca disse: che fai qui giù? I bravi ragazzi come te se ne stanno sopra a studiare o a leggere qualche pallosissimo libro, non vi pare? E si voltò a guardare i suoi amici che erano rimasti seduti. E mentre Luca si avvicinava verso di lui, Nino vide uscire, in bella composizione, dal portone, Gianfranco – molto ben vestito – il padre e la madre.


Gianfranco aveva in mano un pacchetto formato da parecchie riviste. Nino deglutì. Luca avanzava con uno sguardo sfottente mentre Gianfranco, che non aveva capito niente della tragedia che stava per consumarsi, si avvicinava protendendo i vecchi giornali, con la faccia di quello che vuole disfarsene il più presto possibile. Nino accelerò il passo, si avvicinò all'amico, salutò velocemente il signore e la signora, strappò i giornali da mano a Gianfranco e si allontanò velocemente, cercando di schivare Luca.


Ma, quello, era pronto là giusto per placcarlo, come in un incontro di rugby.


Cosa leggerà il mio caro amichetto? Cosa leggerà?


E già l'orrore s'impadroniva di Nino che non sapeva cosa fare, con quel rotolo di giornali in mano. Voleva buttarli in una fessura nel muro, ma sarebbe stato un gesto inconsulto. Luca ormai lo placcava e lui, lui iniziò a correre come un dannato, un disperato, non c'era più niente da fare. Di fronte aveva Gianfranco con i suoi genitori: gli urlò prendi! e lo stupore si lesse negli occhi della signora e del signore. Gianfranco, bloccato dalla vergogna, fece finta di niente. Lasciò che i giornali volassero in aria, si aprissero, si sparpagliassero tutt'intorno, mostrando tutte le nudità di questo mondo. Gianfranco continuò a guardare diritto davanti a sé, come se non fosse affar suo, come se non avesse mai visto quelle riviste. I genitori, stupitissimi, non ci fecero caso. Solo Nino ancora annaspava tra le lunghe braccia di Luca che, ormai, aveva agguantato tutto quello che c'era da prendere e da vedere.


Ecco: ora il suo povero segreto sarebbe stato di dominio pubblico, tutti l'avrebbero saputo, pure quella cretinissima figlia del portiere che, dall'androne, s'era goduta tutta la scena e che, ora, poteva tirare le somme di tutto quel gran baccano.


Luca tornò col suo trofeo dagli amici e se la rideva a gran voce. Ecco cosa leggi, ecco cosa leggi, caro il mio primo della classe! E tutti gli altri si eccitavano a vedere quelle belle figurine e Nino non sapeva che fare, andava avanti e dietro cercando di dire, a qualcuno, chiunque fosse, che non era colpa sua, che lui non c'entrava. Ma i ragazzi facevano di tutto per mostrare l'alto gradimento per l'oggetto trovato.


E mentre quelli urlavano come indiani sioux e mandavano alte grida d'approvazione e danzavano in tondo ad ogni figura sfogliata, Nino sentiva andare via una parte di sé, sentiva che si stava spogliando d'un'aura che s'era creato poco alla volta e che, ora, sfioriva e veniva strappata. Non sarebbe stato più un bravo ragazzo, quello studioso, quello dagli ottimi voti, quello da portare ad esempio ai propri figli.


Ciao ciao, caro Nino. Quest'epoca è finita. Lo vedi? Ora c'è anche Adelina, che è, finalmente, scesa coi suoi. E anche Enzina, che torna da scuola.


Solo Maria non c'è, lo saprà poi.


Eccoti qua. Vorresti bruciare in pubblica piazza quei giornali che, ora, i ragazzacci, pubblicamente ti restituiscono. Vorresti gettarli da qualche parte per non farli vedere a nessuno. Invece Gianni combatte da eroe: non vuole che tu compia un così sacrilego gesto.


Così, oggi, le cose si confondono. E ti rimane il dubbio di sapere chi, poi, abbia preso e tenuto quei terribili giornali che oggi ti farebbero comodo.


Tant'è che non ci dormi la notte.


 

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