BERGAMO FILM MEETING 26 – "I erastes tis Axou (gli amanti di Axos)", di Nicos Ligouris (Visti da Vicino)

Da cinquantacinque anni, Maria e Jorgos tessono insieme tele e tappeti da vendere ai turisti nel loro paesino sperduto sulle montagne cretesi. Il telaio diventa allora una sorta di mangler, di macchina infernale affamata e pronta a fagocitare da un momento all’altro i due anziani amanti logorati dalla certezza dell’impossibilità di poter morire insieme – da un momento all’altro.

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“Se non esistesse Dio non ci sarebbe Jorgos”. Maria, 69 anni, guarda in camera e dialoga con Nicos, il regista che da un po’ segue la quotidianità sua e del suo Jorgos, settantatreenne. I due gestiscono un negozietto di tende e tappeti in un villaggio sperduto sulle montagne cretesi. Stanno insieme da cinquantacinque anni. Maria, instancabile, passa l’intera giornata a lavorare al telaio per tessere i manufatti tradizionali che poi i due tenteranno di vendere alle carovane di turisti che sbarcano per qualche decina di minuti dal pullman proprio sulla strada principale del paesino. Jorgos e Maria sono molto malati. Lui ha subito una serie devastante di interventi per cui ‘potrebbe morire da un momento all’altro’ (“l’ultima arteria che funziona è sottile come un capello”). Lei è fin troppo coriacea nell’ostinarsi a tessere anche quando già sfinita dal lavoro, sino a che il suo corpo non crolla, reagendo con la malattia. Ligouris si carica l’armamentario del documentarista ‘discreto-ma-anche-ambizioso’: luci il più possibile naturali, camera fissa ‘agli angoli della vita’, sguardo in teoria poco invasivo. Solo che alcune sequenze appaiono chiaramente ricostruite (i flashback ‘sei mesi prima’, ‘qualche giorno fa’), e quasi tutte sostanzialmente falsate dalla consapevolezza della mdp. Questo fa sì che soprattutto Maria trovi la forza e gli stimoli per aprirsi completamente di fronte all’obiettivo, regalandoci una serie di improvvise confessioni sincere e commoventi. Ma allo stesso tempo diventa la sottolineatura evidente che le ‘notazioni’ più riuscite della scrittura filmica di Ligouris sono totalmente indipendenti dall’occhio del suo obiettivo: l’essenza grottesca delle carovane inquietanti di turisti come bizzarri esseri alieni, la visita surreale del comitato elettorale in paese a sostegno del candidato, un terrificante ballo tradizionale a uso e consumo dei visitatori appagati, e un’immancabile carrellata in camera-car su corpi e volti di questa anzianità placidamente disperata di paese seduta affianco alla porta di casa a godersi la frescura della sera. In realtà l’assoluta consistenza spessissima di uno sguardo che si vorrebbe invece evanescente e ‘leggero’ sulle cose, e quindi il filtro invalicabile applicato alle immagini, è subito dimostrata dalla violenza con cui il regista inserisce come forzatura una colonna sonora invadente e pacchiana di archi e arpeggi di chitarra che distrugge il sottofondo sonoro ben più ‘poetico’ dell’assoluta immobilità assolata del luogo – cicale, silenzi irreali da mezzogiorno desolato, le voci ovattate dal bar dei vecchi che giocano a carte. Allora, la sequenza con maggiore forza evocativa resta quella con i due anziani impegnati nel faticosissimo lavoro di tendere al massimo un gomitolo intero di lana lungo un telaio inchiodato al muro: il telaio diventa una sorta di mangler, di macchina infernale affamata e pronta a fagocitare da un momento all’altro i due ‘amanti di Axos’ logorati dalla certezza dell’impossibilità di poter morire insieme – da un momento all’altro, come Atropo (“Colei che non si può evitare”) che prima o poi reciderà quel filo, dopo che Cloto “la filatrice” (e Maria…) lo ha tessuto per tutta un’esistenza.

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