Bellaria Film Festival 2008 – Il presente e la memoria

ghiro ghiro tondoDa anni Gianikian e Ricci Lucchi lavorano sulla memoria e sul corpo delle guerre nella rielaborazione politica e teorica di immagini dal passato da rifilmare e alle quali ridare senso e attualità. Ghiro ghiro tondo è l’altra, la stessa dimensione di quel lavoro. Una collezione di giochi infantili collezionati dalla coppia di artisti e provenienti dalla prima guerra mondiale agli anni Cinquanta. Film come esperienza intima. Come She’s a boy I knew, di Gwen Haworth. VIDEO

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ghiro ghiro tondo

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BANDO BORSE DI STUDIO IN CRITICA, SCENEGGIATURA, FILMMAKING

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Non è una prima visione, Ghiro ghiro tondo di Yervant Gianikian e Angela Ricci Lucchi. Come le altre opere che concorrono al Premio Casa Rossa doc, dieci titoli selezionati fra quelli usciti in sala, tv o festival dal giugno dell’anno scorso. Ma è fra i testi imprescindibili, e non solo del Bellaria Film Festival Anteprima doc 2008, che scortica gli occhi (fino al rifiuto, la proiezione al Palazzo del Turismo è stata un vero e proprio fuggi fuggi), mettendoci di fronte, senza trucchi, la tragedia della guerra, di una qualsiasi guerra, in ogni spazio e tempo. Da anni Gianikian e Ricci Lucchi lavorano sulla memoria e sul corpo delle guerre nella rielaborazione politica e teorica di immagini dal passato da rifilmare e alle quali ridare senso e attualità. Ghiro ghiro tondo è l’altra, la stessa dimensione di quel lavoro. Una collezione di giochi infantili collezionati dalla coppia di artisti e provenienti dalla prima guerra mondiale agli anni Cinquanta. Questa volta Gianikian e Ricci Lucchi non lavorano su immagini di repertorio. Per un’ora – un’ora che è spaziotempo assolutamente espanso – filmano per dettagli e totali un catalogo (e la catalogazione è segno d’identità di tutta la loro opera) di oggetti, toccati dalle mani di Angela e osservati dai suoi occhi e da quelli di Yervant che filmano. Gesti ripetuti eppure sempre nuovi che dicono – senza nessun commento, senza nessuna musica, senza nessuna didascalia che faciliti il percorso nella memoria e nel dolore, ma con un immenso incunearsi nelle immagini del sonoro, dal fuori campo dell’abitazione e della strada, e del silenzio e del rumore del silenzio che batte in quegli oggetti e negli occhi di chi li cerca, osserva, filma – dal punto di vista marginale, che diventa centrale, di quelle bambole, di quei giochi di regime per bambine e bambini delle guerre, ancor più l’orrore, il massacro dei corpi, la morte. Gli occhi vuoti o espressivi, che ci guardano, di una bambola. Le statue coloniali. Quelle scartate dagli involucri che le contengono in scatole-bare (“I corpi spezzati accatastati delle bambole, dei pupazzi, rimandano ad ‘altri’ corpi spezzati gettati accatastati, nelle fosse comuni delle guerre”, scrivono Gianikian e Ricci Lucchi). I bulbi di occhi senza più corpo… In quei giochi ritroviamo, nella sua essenza She’s a boy I knew preziosa e insostenibile, i corpi, i cadaveri di soldati e animali, la fatica e la lacerazione di donne e uomini con o senza divisa che abitano lo spazio e il tempo di molte altre opere dei due filmakers. E il bulbo di Ghiro ghiro tondo, quel che rimane di un giocattolo, è speculare a quello scavato, esportato dall’occhio del soldato di Oh uomo!.

Film come esperienza intima. Gesto che definisce anche le opere di Diary and family movies, una delle sezioni che in questi tre anni di direzione Grosoli rivela le migliori sorprese e sguardi che espandono il discorso documentario in una contaminazione espansa e seducente. Come conferma il lungometraggio She’s a boy I knew (2007) di Gwen Haworth. Film di famiglia, interviste ai familiari e alla sua (ex) moglie ora, inserti d’animazione con umorismo, per raccontare una trasformazione da uomo a donna. Quella della filmaker canadese. Steve/Gwen. He/She. Lei/Lui. Ma non nel senso di una schematica contrapposizione eterosessualità/omosessualità. Piuttosto in quello cukoriano di inestricabile convivenza  del maschile e del femminile. In una persona. Nel suo esserci e farsi e modificarsi quotidiano. Nata e cresciuta a Vancouver, Gwen Haworth dal 1996 realizza lavori sperimentali, nell’intreccio di esperienze che trovano forma, passione, riflessione in immagini dove convivono in sovrimpressioni intime il presente e la memoria.

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 She's a Boy I Knew

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