VENEZIA 59 – Frammenti di morte: "Public Toilet" di Fruit Chan e "La virgen de la lujuria" di Arturo Ripstein

Forti segnali di vitalità nella sezione "Controcorrente" con il panteismo fisico del regista di Hong Kong e l'esasperazione mélo di quello messicano.

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Forse è la sezione "Controcorrente", definita come "secondo concorso" o "concorso minore" ad aver regalato i primi segnali di forte vitalità di questa Mostra. Il regista hongkonghese Fruit Chan è da qualche anno uno degli autori fissi del Festival di Venezia; lo stesso messicano Ripstein è un altro autore spesso presentato in vetrine eccellenti come Cannes anche se un suo film, Profundo Carmesì (una delle rarissime opere ad aver trovato una circolazione nelle sale italiane) venne presentato proprio al Lido nel 1996. Entrambe le opere rappresentano tra i risultati migliori del proprio cinema estremo, in cui ogni movimento di macchina sembra la diretta conseguenza del proprio modo di guardare il mondo. Con estrema purezza.


 

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Public Toilet vive nei suoi segnali di decadenza fisica. Chan materializza il progressivo disfacimento di morte e soprattutto quel sentimento "terminale" dove ogni inquadratura è il segno di una provvisorietà estrema. I personaggi principali (due ragazzi cinesi, due fratelli coreani e altri due indiani a Hong Kong, un sicario di New York, una donna anziana malata e una ragazza-sirena quasi invertebrata che sembra aver vissuto sempre dentro al mare) appaiono anatomicamente come una risultante organica, come naturali forme di vita' che, attraverso la defecazione, producono altra materia organica che riattiva il ciclo biologico. Le cicatrici della malattia ma anche il rinnovarsi del ciclo vitale dove l'acqua è l'elemento pulsante (non solo quella dei gabinetti ma anche le rive del fiume Gange), set che perdono la loro collocazione geografica per aprire il proprio flusso su più frontiere (Hong Kong, l'India, New York). Ma Public Toilet è anche opera che parla d'amore, di sentimenti provvisori poi bruciati, di struggenti storie d'amore mai realizzati (due uomini innamorati per anni della stessa donna), di apparizioni improvvise degne del miglior "realismo fantastico" come quella della ragazza/sirena venuta dall'acqua.

La virgen de la lujuria di Ripstein, segue invece, i rituali e l'ossessione di un cameriere degli anni Quaranta, chiamato "El Mikado" e la sua ossessione ai limiti di una follia – che è quasi sinonimo di morte – nei confronti di Lola, una prostituta spagnola.  Lo spazio chiuso, claustrofobico, continua a rappresentare nel cinema di Ripstein il luogo dove accentuare la tensione, dove esaltare al limite la dimensione della tragedia. L'unità di luogo, il ritorno degli stessi ambienti (il caffè dove lavora il cameriere e il suo padrone, l' appartamento dell'uomo dove conserva foto pornografiche, il campo di boxe dove si allenia Gardenia Wilson, l'uomo di cui Lola è follemente innamorata) segnano le traiettorie di un Tempo che scandisce le progressive lacerazioni di una passionalità malata, chiusa sempre dentro spazi d'ombra soltanto parzialmente interrotti da dei 'coni di luce' dove il volto e il corpo del cameriere sono come paralizzati rispetto al vortice sentimentale che lo divora e lo consuma. Come il recente Asi es la vida, Ripstein riesce in maniera esemplare a far vivere, a rendere epidermico attraverso un mondo colorato, che esalta le sublime deformazioni del melodramma, dove negli sguardi in macchina, nelle maschere (quella indossata dal pugile), scorre parte della Storia dell'epoca del franchismo e la soluzione metafisico/onirica della sua caduta.

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