IL FILM
Ennesima variazione cinematografica sul trinomio fine del mondo – virus – zombi, filone catastrofico-orrorifico che negli ultimi anni ha dato alla luce un numero considerevole di pellicole, poche però, quelle degne di essere ricordate (28 settimane dopo, Io sono leggenda). The vanguard non è tra queste. Traballante nella struttura narrativa – la Terra ha esaurito il petrolio e la Corporazione, unico governo detentore del potere, sintetizza una nuova droga allo scopo di decimare l’umanità trasformando però gli uomini in zombi – tanto da risultare una storia priva di compattezza e linearità (l’apparire di personaggi sgangherati, piazzati lì a riempire vistosi buchi di sceneggiatura), che si sgretola invece di svilupparsi con il procedere della narrazione. Le cose non migliorano dal punto di vista squisitamente formale: (pochi) effettacci truculenti, una fotografia che esaspera il verde del bosco teatro della vicenda dando un’illuminazione fastidiosamente sintetica e la sensazione di trovarsi dinanzi ad una sorta di unidimensionalità dell’immagine piattamente anonima, incapace di trasmettere quell’inquietudine dello sguardo che da un lavoro del genere ci si aspetterebbe; un montaggio ellittico che non fornisce indizi ma disorienta (in)volontariamente lo spettatore. Il film è in apnea, non trova respiro, zavorrato oltre che dagli elementi sopra descritti, da un messaggio socio-politico – sempre più di moda –  approssimativo, mancante di profondità riflessiva (di Romero ce n’è uno…), di cui non si sentiva proprio il bisogno (il militare arabo che si ribella alla Corporazione, la pericolosità del petrolio, causa scatenante della guerra “definitiva”), quasi che il regista volesse dare un tocco di autorialità al suo lungometraggio.

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