Nemici pubblici
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Vallanzasca di Michele Placido, Mesrine di Jean-François Richet (e Abdel Raouf Dafri), Dillinger di Michael Mann, Carlos di Olivier Assayas. Sembra che il cinema abbia bisogno di nemici pubblici. E nella strana coincidenza, nei rimandi interni, volontari o meno, tra questi ultimi grandi film, aldilà delle differenze di intenti e toni, si riconosce l’incontenibile esigenza ‘politica’ di un assalto armato all’immaginario contemporaneo, che mandi in frantumi i generi e rivoluzioni, almeno per un attimo, le logiche del cinema e del mondo
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(Michel Foucault, "Sorvegliare e punire")
Vallanzasca di Michele Placido, Mesrine di Jean-François Richet (e Abdel Raouf Dafri), Dillinger di Michael Mann, Carlos di Olivier Assayas. Sembra che il cinema abbia bisogno di nemici pubblici. E’ l’eterna fascinazione del male, forse. Perché il cinema vero, bello, emozionante, che esplode nelle viscere lo spettatore, da sempre dello si fa con i cattivi. Cosa che vale per ogni storia, da sempre. Eppure i tempi cambiano e i cattivi non sono più quelli di una volta. E nella strana coincidenza, nei rimandi interni, volontari o meno, tra questi ultimi grandi film, aldilà delle differenze di intenti e toni, si riconosce l’incontenibile esigenza ‘politica’ di un assalto armato all’immaginario contemporaneo, che mandi in frantumi i generi e rivoluzioni, almeno per un attimo, le logiche del cinema e del mondo. Rileggere la storia e i suoi protagonisti scomodi, per coglierne le nuove implicazioni nel presente, e scorgere i segni della rottura. Una dichiarazione di guerra. Ma si sa che ogni rottura si scontra con il rifiuto e la solitudine.
![jacques mesrine nemico pubblico_mesrine](https://i0.wp.com/www.sentieriselvaggi.it/wp-content/uploads/public/articoli/40318/Images/mesrine.jpg?resize=400%2C267&ssl=1)
Se è vero che crimen viene dal verbo cerno, contiene in sé l’idea della distinzione e della separazione. Definizione e delimitazione del crimine, riflettore puntato sul criminale, che viene marchiato e isolato dal resto della comunità, che si separa egli stesso da qualsiasi possibilità di comunità. Solitudine dell’antieroe. Il nemico pubblico è solo e quest’individualismo gigantesco è garanzia di un romanticismo imperituro, oltre ogni giudizio. E’ il fascino di chi è alle corde e non ha più niente da perdere. Tutti i nemici pubblici rovinano coloro che gli stanno intorno, mandano all’aria amicizie e amori, sono separati dalle persone più care. Vedono cambiare e crollare definitivamente il loro mondo. Per colpa loro, forse, o più probabilmente loro malgrado, per via di una reazione sistemica di rifiuto. Il nemico pubblico è costretto fuori.
Fuori dal corpo
I nemici pubblici vedono cambiare e crollare definitivamente il loro mondo, ma sono pronti. Perché vivono il cambiamento innanzitutto sul proprio corpo. Mesrine è un trasformista, mai uguale e mai perfettamente riconoscibile, come un’immagine ancora sfocata, o, meglio ancora, talmente sovraesposta da abbagliare come un colpo di pistola. Illeggibile. Vallanzasca è, ancor più, un martire autolesionista, disposto a massacrarsi e a farsi massacrare pur di non scendere a patti o arrendersi alle istituzioni. Ingoia chiodi, si lacera la pelle con un pezzo di vetro, spara e si fa sparare, zoppica, bestemmia con la stessa noncuranza con cui si lascia tingere i capelli. Carlos è un altra corpo in continua crisi. Cambiamento o caduta è lo stesso. Dimagrisce e ingrassa a dismisura, è gonfio di alcool e segue le mode del momento, da perfetto libero professionista della rivoluzione impossibile. L’unico che sembra non cambiare mai è Dillinger. Ma la sua è un’altra storia, pe
rché il suo corpo è già scomparso nel miracolo digitale di Michael Mann. In ogni caso, il corpo non è mai fermo. E, muovendosi, viola la prima regola della disciplina: sfugge alla logica dell’anatomia politica, che detta tempi e ritmi del movimento, delimita gli spazi e traccia i confini. Riaffermazione di una fibrillazione vitale che si contrappone al ‘blocco’, al controllo panottico delle istituzioni. La rivoluzione si fa col corpo e passa, inevitabilmente, all’immagine. Perché, solo attraverso questa continua trasformazione si può garantire la ‘tenuta’ dell’immagine pubblica. E’ una sacra Trasfigurazione, un passaggio cruciale dal materiale all’immateriale. Il nemico pubblico è già (oltre) il digitale. E’ spirito dalle semplici apparenze umane. E’ un’idea.
![carlos carlos](https://i0.wp.com/www.sentieriselvaggi.it/wp-content/uploads/public/articoli/40318/Images/carlos2.jpg?resize=400%2C267&ssl=1)
Fuori posto
Quando sono fuori, i nemici pubblici sono costretti a nascondersi, a rinchiudersi nel rifugio di una casa, di un travestimento, di un insieme organizzato di difese. Quando sono dentro, non possono fare a meno di pensare al mondo là fuori e puntare lo sguardo verso un altro orizzonte. Il profeta di Audiard (non a caso nato dalla penna di Abdel Raouf Dafri) è tutto giocato su questa dinamica tra l’interno e l’esterno. Si sposano, ricevono lettere, profferte d’amore e di danaro, regolano i loro affari. Provano anche a vendere la loro immagine, quasi per dissolversi in un luccichio estremo e scappare. Vivono e ragionano come se fossero baciati dalla pienezza del sole che brilla oltre le mura. Le mura stesse non esistono, se non come ostacolo temporaneo, simbolo di un mondo che richiede la partecipazione, ma solo entro dei limiti ben precisi, degli stereotipi inderogabili, Sono sempre e comunque fuori posto, in fuga verso la libertà, nonostante il carcere che si costruiscono. Eppure respirano, oltre le imposizioni e le costrizioni cui siamo condannati. Perché il non trovarsi mai nel posto giusto è sempre un desiderio dell’altrove. Ed è proprio questa tensione ad attirare l’immaginario della gente ‘comune’ che percepisce la possibilità di un’altra vita.
L’immagine latitante
![john dillinger nemico pubblico_dillinger](https://www.sentieriselvaggi.it/wp-content/uploads/public/articoli/40318/Images/nemico pubblico.jpg)
Coincidenze
Il nemico pubblico sono io, nell’attimo stesso in cui mi nascondo, sfuggo alla tranquillità di un ritmo scandito altrove e rifiuto di stare al mio posto, in bell’ordine come un oggetto, di partecipare all’ingranaggio. Squarcio le mura del carcere e immagino un’altra esistenza, che non risponda alla solita stanca cantilena: nascere, crescere, mangiare, lavorare, fottere e morire. Sogno, forse. In ogni caso, mi sottraggo alla mia responsabilità, per farmi carico di qualcos’altro. Del destino forse. Vado incontro alla caduta. Ed è il segno inequivocabile di esser andato troppo oltre. Magnificamente oltre.
tematica affascinante e articolo interessantissimo, grazie
sei andato magnificamente oltre, Spiniello. touchè!