"Porto mio fratello a fare sesso", di Sven Taddicken
Nel film si ha pure il coraggio di rischiare qualche cosa, ma è come se il giovane Taddicken si arrestasse timoroso di fronte alla storia raccontata. Non c'è mai vera libertà nel suo filmare gli scampoli di vita del protagonista ritardato e della sorella desiderosa di perdere la verginità
L'opera del ventitreenne tedesco (in originale un ben più incisivo e logico Mio fratello il vampiro) corre attraverso una fitta serie di luoghi deputati a gran parte del cinema tedesco di questi ultimi anni. Si cerca di tagliare i ponti con la tradizione, ma al tempo stesso la si accarezza quale reale e unica possibilità di giocare con l'immagine del cinema. Nel film si ha pure il coraggio di rischiare qualche cosa (le sequenze con il protagonista ormai assimilato all'idea di vampiro che tanto ama), ma è come se il giovane Taddicken si arrestasse timoroso di fronte alla storia raccontata. Non c'è mai vera libertà nel suo filmare gli scampoli di vita del protagonista ritardato e della sorella desiderosa di perdere la verginità, soprattutto in quei momenti in cui il set pare quasi chiudersi a mò di cul de sac, in cui non c'è mai uno spazio reale con cui fare i conti, ma soltanto una serie di gallerie di personaggi mancanti di vitalità, assiderati in un circuito chiuso di forme che replicano se stesse senza troppa convinzione. Lo spettro ingombrante dell'amore inoltre (da avvicinare con leggerezza e cautela) è sempre reso attraverso un uso obliquo dei campi/controcampi (in questo senso si eccede in tecnica, smascherando una generale povertà di risorse di altro tipo), come a voler modernizzare a tutti i costi il narrato, adattandolo a parametri compositivi interamente giocati sul filo del contenuto/messaggio (il sesso promesso/evocato dal titolo non si vede, censurato in un'idea di cinema che infatti non contempla nemmeno per un attimo la possibilità di avare a che fare con corpi reali), affogati in trite riflessioni su categorie ingombranti (il disadattamento, l'amicizia, il sesso) destinate a vivere una sola volta, nella più superficiale delle dimensioni possibili.
Titolo originale: Mein Bruder, Der Wampir
Regia: Sven Taddicken
Sceneggiatura: Matthias Pacht
Fotografia: Daniela Knapp
Musiche: Putte
Montaggio: Jens Kluber
Scenografia: Karoly Pakozdy
Costumi: Nele Knatz, Nicole Stoll
Interpreti: Roman Knizka (Josch), Hinnerk Schonemann (Mike), Marie-Luise Schramm (Nic), Julia Jentsch (Nadine), Alexander Scheer (Manu), Barabara Stoll (Marlies), Gottfried Breitfuss (Rudi)
Produzione: GAMBIT, TEAMWORK, SWR BADEN-BADEN, BAYERISCHER RUNDFUNK
Distribuzione: Sharada
Durata: 87'
Origine: USA, 2002