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KIM KI-DUK: LA MONOGRAFIA DEFINITIVA!

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Poco meno che trentenne, Shin Yeon-Shick si era fatto notare nel 2005 come uno dei cineasti indipendenti coreani piú promettenti della sua generazione: le tre ore in bianco e nero digitale del suo A Great Actor erano un'impressionante prova di padronanza di una scrittura tanto minuziosamente attenta alle sfumature quanto pronta a disperdersi nelle spire di prove teatrali rivettianamente infinite (il film racconta le dinamiche all'interno di un gruppo di aspiranti attori). Quattro anni dopo (Fair Love), il balzo dal bassissimo budget (A Great Actor costó solo 3000 dollari) a una produzione “vera” che gli garantí addirittura la presenza della megastar coreana Ahn Sung-Kee.

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The Russian Novel ritorna a canoni produttivi clamorosamente contenuti: 30000 dollari appena. E torna a una dimensione in qualche modo collettiva: nonostante sia lui a firmare sceneggiatura e regia, Shin riconosce il decisivo contributo informale dei suoi studenti (molti dei quali recitano) in sede di scrittura.

É proprio questo, del resto, il soggetto del film: uno scrittore con molto talento ma pochi mezzi che, affermatosi, viene messo davanti alla necessitá di riconciliarsi col fatto che ció che si sarebbe tentati di definire come il suo “genio” affiora in realtá da una complicata rete di apporti da parte di chi, in un modo o nell'altro, gli é stato vicino. Per sbrogliare una matassa narrativa invero piuttosto fitta, Shin stesso si affida a una complessa polifonia, fatta delle voci over di ognuno dei personaggi, che si avvicendano nel fare il punto di ció che stiamo vedendo. L'ammirevole scrupolo di Shin nel tessere le relazioni tra i personaggi é sempre a un passo dal diventare soffocante: ci si augura, giá dopo pochi minuti di proiezione, che questo aggrovigliato tessuto di scritture si lasci andare a qualche immediatezza meno cerebrale.

Il bello é che questo momento arriva. Un po' dopo il giro di boa delle sue due ore e venti, The Russian Novel esibisce un arguto twist narrativo che manifesta come meglio non si potrebbe il superamento della scrittura in quella condensazione di essa che é l'immagine, a propria volta condensazione del tempo. E il precisissimo digitale di Shin accompagna a questa svolta (da non svelare) un intelligente mutamento nell'uso del colore: dai toni slavati e come perennemente in procinto di trasformarsi in un bianco e nero che non arriva mai in una prima parte “sacrificata alla scrittura”, a quelli saturi e vivi della seconda, piú a contatto col presente.

In fondo, ce lo diceva giá A Great Actor: fare pace coi propri limiti é il primo passo per superarli. Shin Yeon-Shick, abilissimo nel fare dei limiti produttivi dei suoi progetti una forza, finché dimostrerá questa propensione al “balzo” intuitivo al di lá dei propri limiti, e a fare della propria luciditá una risorsa anziché una palla al piede (il confine tra le due é notoriamente labilissimo), rimarrá senza dubbio un autore da tenere d'occhio.

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