“Il cecchino", di Michele Placido
L'operazione de Il cecchino dimostra una portata di riflessione sul cinema che Placido ha raramente messo in mostra in maniera così dichiarata e puntuale: ci vuole un grande cineasta coraggioso e anche impulsivamente incosciente com'è lui per decidere di giocare così tanto con il canone. Davvero uno dei suoi film più liberamente folli
Anche nella versione leggermente ritoccata e rimontata per il mercato italiano, l'ulltima regia di Placido conferma uno sguardo pazzescamente fisico, viscerale, legato alla performance di attori braccati dal nervosismo della mdp e da primi piani strettissimi, qui spesso fattivamente divisi da “barriere” dello sguardo, grate, vetri, il mirino del fucile, come a sottolineare le traiettorie delle barricate sia interiori che "pubbliche": Kaminski appare da subito come l'ennesimo fantasma letale e inafferrabile della cinematografia criminale di Placido, nuovo “angelo del Male” di un cinema sempre prepotentemente politico (l'Afghanistan…). Si veda ad esempio la fenomenale ellisse della sua evasione.
Torniamo indietro. L'inizio de Il cecchino ci proietta in quella che sembra una nuova banda criminale del cinema di Placido, non troppo distante dal manipolo di esagitati sotto cocaina del fenomenale, precedente Vallanzasca, compresi gli scatti di nervi e la tensione violenta sempre pronta ad esplodere: ma è solo l'impressione di un attimo, destinata a svanire insieme all'eco delle pallottole che fischiano nella potente sparatoria che apre il film, che pare preannunciare un'opera adrenalinica.
Al contrario, Placido gioca sin da subito a spiazzare le aspettative e a raffreddare i toni della sua pellicola, sino ad arrivare a realizzare tutta una lunga sezione conclusiva in cui i dialoghi sono più che rarefatti, ridotti al minimo: ma è l'intero film a essere ridotto all'osso, a lavorare per scarnificazione – da questo punto di vista restano emblematici e particolarmente rappresentativi i due confronti “fisici” che fungono da snodo, il primo nel locale del boss doppiogiochista amico del sadico e impagabile “dottore” di Oliver Gourmet, e il secondo nel vicolo della resa dei conti finale a tre: due sequenze di un'essenzialità balistica quasi “hongkonghese” (chiaramente sempre di derivazione polar, va da sé).
L'operazione de Il cecchino dimostra allora una portata di riflessione sul cinema che Placido ha raramente messo in mostra in maniera così dichiarata e puntuale: ci vuole un grande cineasta coraggioso e anche impulsivamente incosciente com'è lui per decidere di giocare così tanto con il canone da trasformare un omaggio al classico cinema nero francese, ancorato ai volti di Auteuil e Kassovitz, in una sorta di dichiarazione d'amore per il nuovo cinema estremo dell'orrore che parla sempre francese, virando improvvisamente la propria vicenda con l'introduzione del personaggio di questo sanguinario psicopatico che miete vittime e tra i poliziotti di Mattei, e tra i criminali amici di Kaminski.
Il cecchino è davvero uno dei film più liberamente folli di Michele Placido, che s'inventa anche un legame privato nel passato del suo ispettore e del suo cecchino che è un altro capitombolo narrativo senza rete di protezione affrontato senza alcuna paura, da sempre la qualità migliore del cinema di Placido.
Titolo originale: Le guetteur
Regia: Michele Placido
Interpreti: Daniel Auteuil, Mathieu Kassovitz, Olivier Gourmet, Francis Renaud, Nicolas Briançon, Jerome Pouly, Luca Argentero, Violante Placido, Michele Placido
Origine: Belgio, Francia, Italia 2012
Distribuzione: 01 Distribuition
Durata: 89'