SERIE TV – Mob City, di Frank Darabont
Frank Darabont ci regala, nelle premesse, il più classico dei noir. Mob City è però un'opera che non ha paura di rischiare, e tra esplosioni di violenza dal sapore schraderiano e comicità grottesca, riesce a costruire una forte identità personale. Particolarità che rimarrà inespressa, dato il mancato rinnovamento della serie per una seconda stagione. La serie è ancora inedita in Italia.
Frank Darabont, creatore della serie, con Mob City ci regala il più classico dei noir. Ispirata al libro di John Buntin L.A. Noir, la serie struttura il suo arco narrativo in sei epiodi. Mob City sorprende per il suo ritmo, c'è da dirlo, d'altri tempi. Lenta, rilassata ma sempre in tensione, la storia è dominata dai dialoghi che perfettamente si sposano con le atmosfere di genere omaggiate con insistenza. Certo è che dei sei episodi, neanche uno è sprecato. Non c'è nessun annacquamento della narrativa, ogni personaggio anche secondario ha la sua dignità, ma non appesantisce mai la storia né allontana troppo l'attenzione dello spettatore dall'intreccio principale.
Storia che, con i suoi continui flashback cerca di sfondare le barriere della città, e creare un affresco di un'America spietata, lontana nel tempo ma ancora molto attuale. Un paese che affonda le sue radici nella violenza e nel paradossale appello all'american dream. E chi meglio del noir per raccontare questo periodo oscuro, avvolto nell'ombra dell'immoralità? Il lavoro di Frank Darabont è pregevole proprio perché rimane fedele alle premesse del genere (così come Teague recita ancora il semper fidelis dei marine) ma nella sua semplicità, non ha paura ad osare ed apportare delle novità e cadere nella categorizzazione del neo-noir. La sua peculiarità si esplicita in due funzioni interessanti, entrambe portate nell'esplosione per accumulazione, che sono quelle della comicità e della violenza.
L'umorismo, parte dalla tipica strafottenza tongue-in-cheek bogartiana, si evolve presto in situazioni grottesche generate dalla morale distorta dei personaggi, tanto buoni quanto cattivi. Non c'è nessun elemento caricaturale nelle esagerazione bambinesca in cui sfociano i comportamenti dei protagonisti (tutto, in fondo, inizia con la morte di un comico). Personaggi incapaci di percepire i limiti dell'accettabile e del vivere civile e sociale, eterni bambini incapaci di frenare i loro istinti.
La violenza, quindi, è il secondo elemento che attraversa, spesso non esplicitamente, ogni singola inquadratura della serie.
Violenza che più volte sembra seguire anch'essa una parabola di accumulazione schraderiana, dove al culmine della tensione corrisponde un'esplosione di aggressività inevitabile e necessaria (si pensi al finale di Lightsleeper o alla progressione di Travis Bickle in Taxi driver). E in tutti e sei gli episodi si ha veramente la sensazione che lo scontro diretto possa essere evitato, o quanto meno contenuto, attraverso i dialoghi e la dialettica. Ma il destino tragico, noir, è inevitabile. Ed ecco quindi che il coinvolgimento nelle zone d'ombra della società non può che portare a dei massacri sanguinolenti ed improvvisi. La tensione è sempre palpabile, ma è il punto di rottura ad avvenire quando meno te lo aspetti. E se si vuole tutto è anticipato nella splendida sequenza iniziale dei violinisti nel primo episodio che, in uno splendido gioco di attese e rimandi sorprende lo spettatore, ancora una volta, non nel contenuto, ma nei tempi in cui esso viene messo in luce.
Se si vuole trovare un difetto a Mob city, il problema è insito nella serialità stessa. Il rilancio finale, l'apertura verso un futuro possibile è il peccato veniale di ogni serie che si rispetti. Nulla di male nell'ingannare lo spettatore promettendogli più di quanto si possa offrire, le difficoltà nascono quando il cammino della sceneggiatura si scontra contro la volontà del network. La seconda stagione di Mob City non vedrà mai la luce, la produzione dei nuovi episodi non rientra nei piani di nessuno. La lotta di Joe Teague finisce in quel limbo di storie infinite ma mai continuate, troncate a metà senza una degna conclusione. È sempre così: dispiace affezionarsi, un po' ci si sente traditi. Rimangono comunque sei episodi immersi in un noir irriverente, tanta violenza e parecchia nostalgia. Di questo dobbiamo accontentarci.